In un testo poco noto di Furio Jesi, Sopravvivenze mitiche nell’esoterismo nazista (ora in Mito, Aragno, 2009) il critico torinese scrive: «nel suo discorso conclusivo di autodifesa dinanzi al Tribunale di Norimberga, il generale SS Otto Ohlendorf […] giustificò il comportamento proprio e quello dei suoi compagni affermando che la sua generazione si era trovata nel vuoto causato dall’insterilirsi e dalla morte del cristianesimo, e aveva quindi visto nel nazismo un nuovo ordine salvatore, fondato su valori puramente spirituali, e garante di chiarezza, di legge di verità affermate senza esitazione».
Non si insisterà mai abbastanza sul tratto sostitutivo della religiosità che l’ideologia nazista ha assunto, con un tratto paradossalmente iper-morale, redentivo e, in ultima istanza, mitologico.
Jesi, studioso di cultura tedesca e di mondo antico, è stato pioniere per l’interpretazione «delle “grandi narrazioni nazionali” nell’ambito di una narrazione sulla statualità, in direzione della cultura di destra e della radicalizzazione politica» (Bidussa), e ha inteso la storia delle idee come un crocevia tra diverse discipline, tra cui storia delle mentalità, storia dell’arte, del pensiero e delle teorie politiche, fino a quella che Lacoue-Labarthe e Nancy ne Il mito nazi (il Melangolo 1992) hanno definito «la storia della produzione di figure archetipiche fittizie» … leggi tutto