Si è gridato allo scandalo per la consulenza di McKinsey al ministero dell’Economia.
Ma chi lavora con la pubblica amministrazione sa che i servizi di assistenza tecnica sono prassi comune. La soluzione è una riforma profonda del pubblico impiego.
Una polemica inutile
La società multinazionale di consulenza strategica McKinsey & Company è stata coinvolta dal ministero dell’Economia nella predisposizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Il Pnrr definisce le modalità con cui l’Italia intende utilizzare gli oltre 200 miliardi di Next Generation EU, lo strumento per riparare i danni socio-economici della pandemia di coronavirus. Come rivelato dal Mef, quello con McKinsey è un piccolo contratto da 25 mila euro più Iva. Alle tariffe medie giornaliere applicate nei progetti di consulenza comunitari, la somma pattuita corrisponde a circa 25 giornate uomo, ossia poco più di due settimane di lavoro di due esperti senior.
La notizia ha sollevato proteste nel mondo politico e nell’opinione pubblica. Hanno espresso il loro sdegno ex ministri, che hanno parlato di “fatto grave” e invitato il governo a “chiamare i migliori giovani, invece che delegare ai privati”. Alcuni politici locali si sono esibiti in rappresentazioni teatrali surreali, recandosi presso gli uffici di McKinsey ad affiggere le proprie richieste. Addirittura su Twitter, Yanis Varoufakis, ex ministro dell’Economia della Grecia, ha demonizzato la scelta di Mario Draghi domandandosi, polemicamente (e demagogicamente), se la prossima mossa sarà quella di affidare il ministero della Giustizia alla Mafia.
Il caso ha costretto il ministero dell’Economia a diramare una nota dove sottolinea che a McKinsey è stato chiesto uno studio sui piani nazionali già predisposti dagli altri paesi dell’Unione e un supporto tecnico-operativo di project-management per la finalizzazione del Pnrr, ma la società non è coinvolta nella definizione dei progetti che restano unicamente in mano alle pubbliche amministrazioni competenti per materia.
Nella nota, il Mef ricorda che ci si avvale di supporto esterno nei casi in cui siano necessarie competenze tecniche specialistiche, o quando il carico di lavoro è anomalo e i tempi ristretti, come in questo caso.
Senza entrare nel merito dell’incarico, si può ragionevolmente ipotizzare che il ministero possa aver avuto le sue buone ragioni se ha ritenuto necessario un supporto esterno per velocizzare le attività da chiudere urgentemente entro aprile. Ciò nonostante, non stupisce che l’affidamento a una società multinazionale, o a una qualunque società privata, di una consulenza su come orientare gli investimenti pubblici possa sollevare interrogativi nell’opinione pubblica, che non conosce il funzionamento della macchina amministrativa.
Quello che invece stupisce sono le invettive e l’ipocrisia di ministri ed ex ministri. Sarebbe lecito attendersi che sappiano molto bene che il ricorso ai servizi di consulenza esterni per la gestione dei fondi non è una eccezione, ma la norma.
Per esempio, nel periodo di programmazione dei fondi Ue 2014-2020, in Italia sono stati dedicati circa 1,4 miliardi all’assistenza tecnica, ossia alle attività di preparazione, gestione, valutazione, monitoraggio, audit e controllo (Figura 1). Questi soldi vanno a società private. Si tratta di circa 200 milioni di euro l’anno, ovvero il 3 per cento delle risorse Ue, in linea con la media europea ma meno di altri stati. Contestualizzati rispetto a queste cifre, i 25 mila euro del contratto con McKinsey sono noccioline, figuriamoci se considerassimo tutte le consulenze, anche quelle non finanziate dai fondi comunitari … leggi tutto