Diventare un essere umano con un cane (internazionale.it)

di LibérationFrancia (Traduzione di Andrea Sparacino)

Un giorno di novembre, quando il sole splendeva 
e credevo nella rivoluzione, ho preso la 
decisione di adottare un cane. 

Il cucciolo è arrivato un mese dopo, in una giornata scura in cui, anche se il cambio di paradigma si stava verificando (ne sono sicuro), era più difficile credere nella rivoluzione. Il cane è arrivato all’alba, in un sacco rosso, portato da un uomo con la voce delicata e le mani segnate dal freddo. La prima cosa che ho sentito, ancora prima di vedere il cucciolo, è stato il suo odore: torta alla cannella.

Forse i proprietari della madre, Isabella, avevano preparato una torta per Natale e il sacco si era impregnato dell’aroma. Questo è e sarà sempre il mio primo ricordo di lui. Un odore zuccherato emanato da un sacco rosso. Immagino che anche per lui io sia stato innanzitutto un odore, prima di essere una forma, una figura, un colore e una voce.

Ora sento che l’operazione di innesto umano-cane si sta svolgendo nella mia struttura soggettiva. A volte lo percepisco dolorosamente, come se si trattasse dell’impianto di un organo estraneo al mio corpo, come un’invasione di un’altra specie nel mio tessuto umano. La resistenza alla simbiosi politica si manifesta sotto forma di stress, di dolore alla nuca, d’incapacità di fissare il mio sguardo, di tensione nelle dita dei piedi e delle mani, di rumore sordo nel petto dopo un sospiro. Non posso pensare, non posso dormire, non posso fare nulla.

Lo nutro, pulisco i suoi escrementi, lo bacio, lo porto fuori, lo chiamo, gli lancio piccoli pupazzi a forma di cono gelato o palla di neve che mi riporta aspettando che io cerchi di strapparglieli dai denti, lo ricompenso, lo accarezzo, metto la mano nella sua cesta perché possa dormire tranquillo. Ma l’impianto non è ancora completo. Tutto ciò che sento è la paura che i miei contorni individuali si cancellino. La paura di non sapere occuparmi di un’altra vita che non sia la mia. Prendersi cura non è semplicemente “figo”. Rende folli. È per questo che i potenti evitano di farlo, per non mettere in gioco la propria soggettività, per non compromettere la loro sovranità.

Resistenza e amore
Il mio cervello si è trasformato in una gelatina che vibra nella mia testa. A volte la resistenza all’innesto di quest’altro essere nella mia struttura soggettiva è così forte che, lo confesso, sono stato attratto dalle finestre aperte, dai coltelli disposti simmetricamente nei cassetti, dalla tromba delle scale, dagli autobus che non si fermano al passaggio dei pedoni, dai flaconi di sonnifero, dai muri e dalla loro durezza implacabile davanti alla fragilità di un cranio, dalla possibilità di entrare così in profondità nel mio cervello da dimenticarmi di respirare … leggi tutto

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