L’ultimo romanzo di Kim Stanley Robinson ci aiuta a capire come potrebbe essere il mondo senza sfruttamento.
In quest’intervista dice che dobbiamo immaginare la fine del capitalismo al posto della fine del mondo
The Ministry for the Future è l’ultimo tentativo di Kim Stanley Robinson di colmare un grosso vuoto nella tradizione della narrativa utopica. La narrativa speculativa di questo tipo difficilmente si occupa della fase di transizione verso una società diversa e migliore; generalmente, esplora il periodo conclusivo di un esperimento utopico. Ecco, The Ministry rappresenta un’eccezione.
Immaginando la storia dei prossimi decenni, il romanzo ruota attorno a un ministero internazionale nato per applicare gli accordi di Parigi sul clima. L’azione romanzesca si snoda per tutto il mondo, e include rivolte popolari, ecoterrorismo, guerra asimmetrica, scioperi del debito studentesco e geoingegneria. Un ruolo preminente è occupato dai programmi in stile Green New Deal portati avanti dalle più grandi economie mondiali – capitanate da un’India post-Modi – e viene esplorata anche la possibilità di requisire le banche centrali per finanziare la transizione energetica e abbandonare i combustibili fossili.
Sono questi gli ingredienti di transizione lunga, sprezzantemente definita «la cucina del futuro». Ma anche se è improbabile che diventi un modello politico, è un terreno incredibilmente fertile per un romanzo. E l’indifferenza generale per la materia trattata è andata a vantaggio di Robinson.
Ambientato nella seconda metà del Ventunesimo secolo, The Ministry ci aiuta ad aprire la mente a come potrebbe essere il mondo oltre il capitalismo. La capacità di immaginare è una precondizione necessaria per risolvere la crisi ecologica del nostro tempo. È il perno su cui far leva per ampliare l’orizzonte di ciò che è possibile. Immaginando nuove strade percorribili, Robinson ci ha reso un servizio inestimabile.
Lo scrittore e attivista canadese Derrick O’Keefe ha incontrato Kim Stanley Robinson per Jacobin Mag e hanno parlato di politica, cambiamento climatico, fantascienza e del viaggio da oggi al futuro.
Quest’ultimo mese Vancouver, la città dove vivo, è stata per qualche giorno la città con la qualità dell’aria peggiore al mondo a causa dei fumi provenienti dagli incendi della California e della costa ovest dell’America del Nord. Uno sfondo appropriato per la lettura di The Ministry of the Future, che inizia in India proprio con un evento meteorologico catastrofico capace di innescare un’ondata di cambiamenti globali sul piano politico e ambientale. Pensi che avremo bisogno di qualcosa di tanto estremo per provocare il cambiamento di cui abbiamo bisogno?
Penso che già ci siamo, con la pandemia, gli incendi e gli uragani. Gli eventi estremi hanno prodotto la consapevolezza diffusa che bisogna fare qualcosa, prima è meglio è. Detto questo, credo che siamo sull’orlo di qualcosa di ancora peggiore, come il libro rende evidente. È stato un anno memorabile, traumatico, e potrebbe essere lo stimolo per fare qualche cambiamento.
The Ministry è dedicato a Fredric Jameson, il tuo professore al tempo del dottorato.
Fred era il mio tutor durante il dottorato, ma mentre stavo lavorando alla mia tesi si trasferì dall’Università di San Diego a Yale. Rimase nella mia commissione, anche se concretamente la supervisione venne fatta dal mio cotutor.
Volevo parlare con te dell’ormai famosa citazione attribuita a Jameson, che in realtà è più una parafrasi: «È più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo». Mi colpisce il fatto che questo libro sia uscito in un anno dove è diventato molto facile immaginare la fine del mondo, mentre la vera sfida è immaginare l’inizio di un possibile sistema socialista. Anche se The Ministry parla del futuro, suggerisce che il punto di partenza di questo cambiamento è qui e ora, e che si tratta di riprodurre alcune delle alternative già esistenti su scala più ampia … leggi tutto