di Sabino Cassese
Abbiamo una costante incapacità di imparare dalle buone pratiche.
Perché Lombardia e Calabria non hanno rapidamente seguito l’insegnamento delle «best practices» del Lazio?
Alcune regioni hanno vaccinato quasi tutta la popolazione compresa nelle fasce più deboli, altre solo un terzo. In alcune regioni si è proceduto con la puntualità di un orologio svizzero, in altre sono state commesse clamorose violazioni delle priorità fissate in sede nazionale e si sono verificati gravi disservizi. Insomma, non siamo solo indietro ad altri Paesi, ma registriamo anche variazioni territoriali inspiegabili.
La popolazione vaccinabile è di quasi 51 milioni. I colli di bottiglia sono l’approvvigionamento e la somministrazione dei vaccini. Sull’uno e sull’altro fronte, il governo s’è dato da fare. Ha puntato i piedi con l’Unione europea e ha avviato contatti per la produzione di vaccini in sede nazionale. La legge di bilancio 2021 prevede la preparazione di un piano nazionale di vaccinazione e l’obbligo delle regioni di definire i loro piani vaccinali seguendo le indicazioni e con i tempi stabiliti a livello nazionale; in caso di mancata attuazione regionale, deve intervenire il commissario straordinario.
Il ministro della Salute ha presentato il 2 dicembre 2020 il piano al Parlamento. Questo è poi stato adottato con decreto del 2 gennaio. La Conferenza Stato-regioni è stata informata del piano il 9 febbraio e il 21 febbraio ha sottoscritto anche con i sindacati una intesa per mobilitare i medici di medicina generale. Il commissario Figliuolo ha reso pubblico il 13 marzo il suo piano.
Ma qualcosa non ha funzionato. Il presidente del Consiglio dei ministri aveva dichiarato: «Lo Stato c’è e ci sarà». La Corte costituzionale aveva depositato il 13 marzo scorso una sentenza nella quale è scritto che spetta in via esclusiva allo Stato la profilassi internazionale, «comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla» … leggi tutto