Anna Marcucci Fantini, Maria Corda Costa, Dina Bertoni Jovine, Lydia Tornatore, Carmela Mungo, Maria Luisa Bigiaretti, Dina Parigi, Idana Pescioli, Giovanna Legatti Tamagnini,
Nora Giacobini, Bianca Maria Pettini, Sara Cerrini Melauri, Bianca Fassino, Maria Bertini Casilli, Gina La Marca, Adriana Gerundino Ross, Luisa Tosi e tantissime altre. Nomi che ai più non dicono niente e che invece hanno accompagnato quotidianamente la vita di bambini e bambine, ragazze e ragazzi per generazioni.
Maestre e professoresse, che a partire dall’immediato dopoguerra hanno cambiato in senso democratico, nella pratica di ogni giorno, la scuola italiana. Di loro non si parla mai. I buoni maestri (e rivoluzionari) sono sempre maschi, i don Milani, i Mario Lodi, i Gianni Rodari, i Freinet, i Capitini, gli Ivan Illich, i Dewey, e indietro fino a Rousseau, la schiera dei pedagogisti, dei riformatori della scuola è sempre tutta al maschile. L’eccezione che conferma la regola, Maria Montessori, è davvero un unicum nella pedagogia italiana del novecento. Ma chi conosce i nomi di Maria Boschetti Alberti o Giuseppina Pizzigoni?
Malgrado quello dell’insegnare sia un mestiere che nel secolo scorso è diventato sempre più femminile, non è cambiata affatto la struttura piramidale del mondo dell’istruzione, che fa leva su una base di donne che educano bambini ma che a loro volta studiano teorie elaborate (e spesso insegnate) da uomini.
Il giudizio sociale
L’ultima indagine dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) sul tema risale al 2017. È interessante andare a rileggere le note a margine dei risultati: “In dieci anni, dal 2005 al 2014, la presenza femminile nelle aule scolastiche, nei paesi industrialmente sviluppati, è cresciuta dal 62 al 68 per cento. Una presenza che decresce andando dalla scuola dell’infanzia verso le superiori.
Tra i 22 paesi d’Europa che aderiscono al trattato di Schengen, la presenza delle donne dietro la cattedra è pressoché totale nella scuola dell’infanzia (97 per cento) e dominante alla primaria (85 per cento). Per calare lievemente alle medie (68 per cento) e alle superiori, dove la presenza femminile nel 2014 si è attestata attorno al 58 per cento. Il fenomeno in Italia è ancora più accentuato”.
Perché tutte queste donne non assumono un ruolo egemone anche nel mondo della teoria pedagogica o degli studi sulla didattica? Secondo Laura Parigi, ricercatrice dell’Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (Indire): “Penso che dipenda dal valore sociale attribuito al mestiere, che è stato un mestiere tipicamente femminile anche perché compatibile con il lavoro di cura della famiglia.
Per tanto tempo l’insegnamento è stato considerato un lavoro che le donne potevano svolgere per integrare le entrate del capofamiglia (stipendio basso, orario corto). Difficile, con queste premesse, riconoscersi un ruolo da intellettuale. Anche la formazione probabilmente ha inciso: ora forse non è più così, ma un tempo l’istituto magistrale era considerato una scuola ‘minore’ rispetto ai licei” … leggi tutto