Questo articolo è uscito per il cartaceo di Wired di Dicembre, per cui ringrazio Chiara Oltolini che me lo ha commissionato.
Ho pensato di renderlo pubblico qui perché ultimamente si è tornati a parlare delle questioni identitarie legate al marketing editoriale (e non).
“Volete il divorzio? Allora dovete sapere che dopo verrà l’aborto. E dopo ancora, il matrimonio tra omosessuali. E magari vostra moglie vi lascerà per scappare con la serva!”
Fanfani sul referendum del divorzio in Italia nel 1974
A chiunque lavori nell’ambito dei media, del marketing e dell’intrattenimento il termine fluidità associato alla generazione Z, ossia alle persone nate a partire dal 1997, sta colando fuori dalle orecchie. La parola fluidità si usa per lo più nell’ambito del genere e dell’orientamento sessuale e implica il superamento della binarietà del genere, quindi l’eliminazione delle categorie di maschile e femminile nella definizione di se stessi e degli altri, e poi la libertà e la possibilità di poter essere attratti durante il corso della vita da qualunque tipo di persona, a prescindere dal sesso biologico e dal genere di appartenenza di quest’ultima. Sono due piani intrecciati ma distinti, perché il primo si manifesta sul piano identitario, il secondo nel campo delle preferenze sessuali.
Formalmente, la nascita del concetto di fluidità viene attribuito alle teorie di Judith Butler secondo cui il genere è una categoria convenzionale e non determinata biologicamente che ognuno di noi attua in maniera inconscia e performativa.
Oggi, dopo trent’anni, la top model Emily Ratajkowski, annunciando di essere incinta, ha dichiarato che lei e il suo partner cresceranno il proprio bambino nel modo più genderless possibile, senza imporre stereotipi di genere al nascituro, di cui per giunta non vogliono neanche conoscere il sesso biologico. Nell’articolo apparso su Vogue Us la modella, per riferirsi al figlio, usa il pronome they, lo stesso che usa la Butler per definirsi insieme a she: she/they appare nelle bio di parecchie ragazze giovani bianche eterosessuali e cisgender su Instagram.
Qual è l’anello di congiunzione tra Judith Butler, accademica e femminista lesbica un tempo di nicchia, la supposta fluidità della generazione Z e la top model più bella e cool degli ultimi anni, che da un po’ di tempo aspira a incarnare politicamente degli ideali di lotta sovversiva mentre occupa il gradino gerarchico più alto nella piramide dell’industria della moda e del potere derivante dalla mercificazione dell’estetica femminile secondo canoni maschili classici? … leggi tutto