L’opera-mondo di Andy Warhol (doppiozero.com)

di Luigi Bonfante

Un loft di Manhattan rivestito di carta argentata, 

un viavai continuo di ragazze e ragazzi squinternati che vivono d’espedienti, che ballano, telefonano, si ubriacano o si fanno di anfetamine, scroccano qualche dollaro o una cena, scrivono poesie, fanno sesso (omo e/o etero), passano da un party all’altro e da un appartamento all’altro, non dormono mai, vanno a sentire gruppi rock alternativi, recitano in film sperimentali, fanno o dicono cose spudorate, scoprono o inventano mode.

Sono freak depravati, ragazzi e ragazze bellissime, gay sfrontati in un’epoca ancora omofoba, giovani ereditiere esibizioniste allo sbando, piccoli spacciatori, poeti, ballerini, attori e attrici improvvisati, manager di aspiranti attori e attrici, piccole “superstar” dell’underground e grandi rockstar (i Velvet Underground, ovviamente, ma anche Bob Dylan, i Rolling Stones, Jimi Hendrix, Jim Morrison): tanti nomi di personaggi già famosi o che lo stanno diventando in quegli anni, di sconosciuti destinati a quei “quindici minuti” di fama che sono nati proprio qui e di falene che si bruciano subito alla luce dei riflettori improvvisati o nell’ombra della droga.

E di tanto in tanto, in mezzo al fenomenale trambusto di vite spericolate, compare qualche critico d’arte, qualche gallerista, qualche ricco collezionista d’arte contemporanea, qualche mostra e qualche opera che oggi vale milioni di dollari.

Questa è la prima impressione che si ha nel leggere Popism, il libro che Andy Warhol ha scritto con Pat Hackett nel 1980, oggi nella nuova traduzione curata da Alessando Carrera per Feltrinelli. È l’epopea gloriosa della Factory degli anni sessanta e della sua «corte di spostati di vario genere», come dice Carrera; un’epopea che si chiude con i colpi di pistola sparati da Valerie Solanas il 3 giugno 1968, due giorni prima dell’assassinio di Robert Kennedy e due mesi dopo quello di Martin Luther King. Warhol sopravvive per miracolo, ma il mondo eccessivo della Factory no.

Nella brevissima premessa, Warhol dice che il libro è uno sguardo all’indietro, a «com’era allora la vita per i miei amici e per me; ai dipinti, ai film, alla moda, alla musica, alle superstar e alle relazioni personali che hanno dato forma a quel mondo nel nostro loft di Manhattan, il luogo conosciuto come Factory». Popism non racconta dunque il «fenomeno pop a New York negli anni sessanta», come pure si dice nella premessa … leggi tutto

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