GLI ANNI AMERICANI DI FRIDA KAHLO (minimaetmoralia.it)

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Pubblichiamo un articolo uscito su Linus, 
che ringraziamo.

C’è un autoritratto di Frida Kahlo in cui è vestita di rosa, una bandierina messicana in mano, in piedi su una pietra che in un paesaggio immaginario segna il confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Il dipinto si chiama Self-Portrait on the Borderline Between Mexico and the United States, è del 1932, ed è stato realizzato a Detroit. Dei suoi anni americani, necessari nel definire l’artista che sarebbe diventata, racconta oggi un impeccabile volume pubblicato di recente negli States. Il libro si chiama Frida in America. The Creative Awakening of a Great Artist (St. Martin’s Press, pp. 383, 29.99 $), Celia Stahr è l’autrice.

Negli Stati Uniti Frida va per la prima volta nel 1930, ventitreenne e consorte di Diego Rivera, ancora sconosciuta lei, già in auge lui, una moglie al seguito del marito, fedifrago minimo due volte e molte altre a venire. Lui ingombrante come tutto il Sudamerica, lei prossima a rivelarsi una sua pari, ridefinendo i rispettivi ruoli di consorti e artisti. In una lettera alla madre, poche settimane dopo l’arrivo negli States, Frida scrive: “Forse andremo a stare in un albergo così potrò dipingere tutto il giorno invece di passare il tempo a spazzare i pavimenti e idiozie del genere”.

La prima tappa del viaggio è San Francisco, dove Rivera è invitato a realizzare un murale sulla parete dell’edificio del Pacific Stock Exchange. I due arrivano in treno, attraversando prima le colorate città del Messico, e poi il confine, che Frida descrive alla madre in una lettera del 10 novembre 1930: “Quel maledetto muro è una recinzione di filo spinato che separa Nogales Sonora da Nogales Arizona, ma si capisce che è tutto la stessa cosa.

Al confine i messicani parlano benissimo inglese e i gringos parlano spagnolo, e tutti mescolano tutto”. Dopo quel muro c’è l’Arizona, e poi in direzione ovest c’è Los Angeles, dove si fermano qualche giorno dall’amica gallerista Galka Scheyer. Scrive Frida: “Le gringas sono tutte crudeli. Le stelle del cinema non valgono un soldo bucato.

Los Angeles è piena di milionari e la povera gente fatica a sbarcare il lunario, e tutte le case appartengono ai miliardari e alle stelle del cinema, tranne quelle fatte di legno che fanno abbastanza schifo. A Los Angeles ci sono 3mila messicani, e devono lavorare come muli per potere competere in affari con i gringos“ … leggi tutto

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