Pubblichiamo un pezzo uscito su Linus, che
ringraziamo. Fonte immagine.
Tutto comincia nel cuore di Little Italy, in Elizabeth Street, alla fine degli anni quaranta. Sui sedici pollici di un RCA Victor, modello di televisore molto popolare, nell’America di quegli anni, scorrono ogni venerdì sera i capolavori del cinema italiano. Il rito settimanale vede riunirsi davanti al tubo catodico, collocato come un totem al centro di un due camere e cucina, una folta famiglia di origine siciliana.
Il più rapito, nel pubblico domestico, è un bambino di sei anni, minuto e asmatico: il suo nome è Martin Scorsese, e beve con gli occhi a quelle ombre baluginanti, spesso quasi da immaginare, mandate in onda su copie logore dalle emittenti più sensibili alle esigenze degli emigrati italiani. Eppure l’essenziale filtra, e tanto basta ad accendere l’immaginario di quel bambino, per sempre. Anche perché lo spettacolo non è solo quello offerto dal televisore. A colpire il piccolo Martin è anche la reazione emotiva del parentado, l’atmosfera di solenne ritualità che avvolge le visioni.
Per i suoi nonni, paterni e materni, arrivati in America all’inizio degli anni dieci, quella che si consuma sul piccolo schermo non è solo cinema. E’ un viaggio nello spazio e nel tempo, un’apertura transoceanica sulla terra d’origine, che allarga improvvisamente il loro mondo ristretto.
L’America, fuori dalla porta di casa, gli appare ancora troppo grande e indecifrabile, per smettere di fare paura. Persino avventurarsi fuori da Elizabeth Street è un’impresa da compiere solo in caso di ineluttabile necessità. Nati nell’ottocento, non parlano né italiano né americano, ma un dialetto ancora verghiano, e non otterranno mai la cittadinanza statunitense. Dalla Sicilia si sono portati dentro un dogma ancestrale: sentono che c’è poco da fidarsi, dello stato, della polizia, di qualsiasi forma di istituzione.
Ai connazionali che hanno esportato la mafia, e che girano spavaldi per il quartiere, bisogna mostrare omertosa sottomissione, cercando di essere coinvolti il meno possibile dalla loro violenza. Farsi rispettare, senza diventare goodfellas, è un difficile, quotidiano, esercizio di equilibrismo. L’unico rifugio solido è la famiglia d’origine. Riunirsi davanti ai film italiani, è un modo per sentirsi ancora più vicini, riappropriandosi di un lessico familiare condiviso.
Quando vedono Anna Magnani correre disperata, prima di essere falcidiata da un mitra nazista, i parenti di Martin piangono amaro. Trafitti da uno scuro senso di colpa, per non esserci stati, in quell’Italia illusa e soffocata dal regime fascista, stuprata dalla guerra.
Erano già ad arrangiarsi e lottare, nel ventre agrodolce dell’America. Le immagini del neorealismo li compensano, in parte, di una vita italiana non vissuta. Il cinema è l’unico modo di costruirsi un passato, una patria spirituale. Di ritrovare un’identità.
Tanti anni dopo, davanti a Nuovomondo di Emanuele Crialese, Scorsese dirà di aver trovato un’immagine esatta della sospensione quasi sognante, in cui fluttuavano i suoi nonni. Di un’integrazione che rimarrà solo ipotetica, per tutta la vita. Guardare i film italiani insieme a loro, ha permesso a Martin di capirli, allargando improvvisamente il proprio mondo di bambino. Scoprendo, nel cinema, le proprie radici … leggi tutto