L’invasione nazi-fascista alla Jugoslavia: la guerra criminale che l’Italia nasconde (globalist.it)

di Giuseppe Costigliola

Ottanta anni fa, il 6 aprile 1941, Mussolini con 
le truppe di Hitler sferrò un attacco contro una 
popolazione che giudicava inferiore. 

Uccisioni, torture, deportazioni con le quale il nostro paese non ha mai fatto i conti

Il 6 aprile 1941 segna una fondamentale tappa nelle politiche di aggressione che caratterizzarono il regime fascista. Dopo la guerra di Etiopia, l’annessione dell’Albania, l’invasione della Grecia, la campagna d’Africa e di Russia, ottanta anni fa le truppe dell’esercito italiano invasero il Regno di Jugoslavia, un micidiale attacco a tenaglia sferrato con le truppe germaniche. Gli italiani penetrarono nel territorio jugoslavo dalla Venezia Giulia e da Zara con 7 Divisioni della Seconda Armata agli ordini del generale Vittorio Ambrosio, e da sud dall’Albania con 4 Divisioni della Nona Armata del generale Alessandro Pirzio Biroli. L’aggressione delle forze dell’Asse portò allo smembramento dello stato jugoslavo e all’annessione di parti del territorio occupato, con la creazione di nuove province e protettorati.

È l’inizio di una delle pagine più vergognose della storia d’Italia, poiché alle atrocità tipiche d’ogni guerra di aggressione seguì una politica d’occupazione basata sulla repressione sistematica, messa in atto con la creazione di campi di concentramento, rastrellamenti, deportazioni, fucilazioni e feroci rappresaglie antipartigiane. A ciò si aggiunga la tremenda carestia alimentare causata dalla disorganizzazione dell’amministrazione italiana, gli stenti e i maltrattamenti subiti dalle popolazioni slave, vittime peraltro di un odio razziale che aveva storia lunga.

I pregiudizi antislavi serpeggianti nella classe dirigente italiana, nazionalista e irredentista, dopo la Prima guerra mondiale sono esemplarmente sintetizzati dal discorso che Mussolini tenne a Pola nel 1920: bisognava “espellere questa razza barbara, inferiore, slava, da tutto l’Adriatico”. Parole che contenevano in germe il programma annessionistico del futuro regime: giunto al potere, il fascismo lo trasformò in legge e mise in atto politiche di snazionalizzazione e discriminazione verso le popolazioni slave del confine orientale.

I programmi di “bonifica nazionale” del cosiddetto “fascismo di frontiera” degli anni Venti e Trenta trovarono poi attuazione nel giugno 1940, quando il governatore della provincia dell’Istria propose d’istituire, tra Verona e Trento, campi di concentramento per gli slavi di quelle terre sospettati di sentimenti antitaliani. L’occupazione dei territori jugoslavi nel 1941 fu quindi l’ultimo, definitivo atto di una politica di sterminio. Nella provincia di Lubiana annessa dopo lo smembramento della Jugoslavia, dal settembre 1941 si applicava la pena di morte per il semplice possesso di materiale e pubblicazioni sovversive. Ogni azione partigiana prevedeva in risposta la fucilazione di ostaggi civili.

La famigerata circolare 3C del generale Mario Roatta, in cui si leggeva che “il trattamento da fare ai ribelli non deve essere sintetizzato dalla formula dente per dente ma bensì testa per dente”, ordinava la fucilazione immediata dei sospetti partigiani, l’uccisione indiscriminata di ostaggi a discrezione dei comandanti impegnati nell’azione, l’internamento delle famiglie dei sospetti nei campi di concentramento, la distruzione delle abitazioni nelle zone interessate dalle operazioni mediante incendi attuati da reparti chimici, lanciafiamme e bombardamenti … leggi tutto

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