Stando a quanto la stessa Flannery O’Connor ha affermato, l’episodio più memorabile della sua vita viene fatto risalire a quando, da bambina, all’età di cinque anni,
aveva addestrato un pollo a camminare all’indietro, e un inviato del cinegiornale “Pathè News” di New York era sceso fino a Savannah, in Georgia, dove la piccola Mary Flannery viveva, per filmarlo. Proprio quel giorno però il curioso pennuto non aveva dato prova della sua abilità e l’inviato si era visto costretto, dopo averlo comunque ripreso mentre zampettava in avanti, a montare il filmato al contrario per non sprecare un viaggio che altrimenti rischiava di essere stato fatto a vuoto.
Con l’autoironia che le era tipica, la O’Connor avrebbe poi commentato il fatto sostenendo che quello era stato il punto culminante della sua vita e ciò che sarebbe successo in seguito era da considerarsi alla stregua di un anticlimax; come a dire che oltre a quell’episodio c’era ben poco altro da raccontare e niente di ciò che era successo in seguito era stato vissuto con la medesima partecipazione emotiva.
Motivo per riparlare proprio della sua vita e della sua narrativa è il bellissimo volume dal titolo Flannery O’Connor. Vita, opere e incontri, che la ricercatrice italiana Fernanda Rossini ha da poco pubblicato per le Edizioni Ares, completando in tal modo un quadro di contributi critici che negli ultimi due decenni hanno letteralmente rivoltato la considerazione in cui era tenuta in Italia questa grande scrittrice. Dopo un primo momento in cui gli americanisti italiani sembravano infatti averla ingiustamente snobbata o sottovalutata forse perché ritenuta un po’ troppo cattolica, come rileva Luca Doninelli nella sua postfazione a La saggezza nel sangue (Garzanti 2002, p. 201), nel corso del tempo si è andato via via sviluppando un sempre maggiore interesse nei suoi confronti, alimentato dall’ottimo lavoro di traduttori, scrittori, saggisti, poeti e critici come Ottavio Fatica, Marco Missiroli, Christian Raimo, Davide Rondoni, Marisa Caramella, Antonio Spadaro e altri che citerò in seguito.
Questi autori infatti hanno il merito di aver saputo innanzitutto valorizzare e mettere nella giusta evidenza le ragioni più intime che stanno alla base dell’opera della O’Connor e che per sua ammissione s’incentrano nel mistero cristiano per eccellenza, ossia quello dell’Incarnazione; poi di aver mostrato come questo mistero e questa credenza informassero la sua arte grazie a una sofisticatissima tecnica narrativa; e infine di aver presentato e dato il giusto risalto ai vari apporti teorici che lei stessa aveva elaborato in prose d’occasione raccolte in seguito da Sally e Robert Fitzgerald nel volume intitolato Mystery and Manners.
“Tutto oro”, aveva scritto Ottavio Fatica nell’introdurre la versione italiana di questa stessa raccolta, pubblicata da Theoria nel 1993 col titolo Nel territorio del diavolo, e ripresa da minimum fax nel 2010. E in effetti di puro oro si tratta. In un’epoca come questa, dove soprattutto in Italia abbondano ovunque i corsi di scrittura creativa e le pubblicazioni di manuali adatti all’uopo, gli insegnamenti e le riflessioni che la O’Connor sviluppa in questi testi basterebbero, se ben utilizzati e seguiti alla lettera, a creare intere schiere di autori … leggi tutto