In 'Morricone Stories' il sassofonista tenta l'impresa ardita di far suonare le composizioni del Maestro da un quartetto jazz.
«E pensare che Ennio mi diceva di lasciar perdere»
Mettere insieme un tribute album dedicato a Ennio Morricone può essere un’impresa complicata. È un personaggio gigantesco, con una produzione unica per dimensioni e varietà, quasi impossibile da racchiudere in un singolo disco. Forse è per questo che i progetti più interessanti sull’eredità del compositore nascono tutti da un punto di vista particolare, un’angolatura insolita che lo racconta attraverso dei dettagli.
È successo con Morricone segreto, la raccolta sul suo «lato nascosto, dark e psichedelico», e lo stesso si potrebbe dire di Morricone Stories, l’album di Stefano Di Battista che ripropone alcune composizioni in chiave jazz, suonate da un classico quartetto.
Insieme al pianista Fred Nardin, il contrabbassista Daniele Sorrentino e il batterista André Ceccarelli, Di Battista trasforma le melodie e i temi di Morricone in perfetti standard jazz. È così che Veruschka diventa un brano nello stile di Stan Getz, La cosa buffa un viaggio psichedelico a bordo di un pianoforte subacqueo, Metti una sera a cena uno swing ironico.
Tutto con un approccio essenziale, che non stravolge la struttura e le melodie originali. «Ho cercato di calmare i vari Coltrane, Parker, Gillespie e Davis che mi entravano nel cervello», dice il sassofonista, «gli ho spiegato che trattandosi del maestro c’era bisogno di tenere a bada gli istinti». Lo abbiamo intervistato per capire com’è stato lavorare a questo progetto … leggi tutto