Nel 1981 l’editore Jonathan Cape pubblica “I figli della mezzanotte”, romanzo dell’allora pressoché sconosciuto Salman Rushdie.
Nato a Bombay nel 1947, cresciuto in Inghilterra, Rushdie ha esordito nel 1975 con “Grimus”, una fiaba pubblicata senza particolari riscontri. “I figli della mezzanotte”, a contrario, fu omaggiato come un capolavoro: vi si racconta la storia di diversi bambini che nascono alla mezzanotte del 15 agosto 1947, il giorno in cui l’India diventa indipendente.
Ciascuno di loro ha in dote poteri inauditi, ma più di tutti è Saleem Sinai, genio inquieto e surreale, a tessere le fila di una narrazione polimorfica. Il romanzo ha vinto tutti i premi possibili, compreso il Booker Prize; nel 1999 “Le Monde”, in vena di classifiche, l’ha installato tra i 100 libri del secolo (dei primi 10, 7 sono francesi…), e di questi è il più recente.
Quasi a dire: da allora, il nulla. In Italia il romanzo è edito da Mondadori. Da allora, piuttosto, Rushdie, nell’empireo, ha scritto molto, non più con quell’ispirazione. Si è parlato di lui per la fatwa inflittagli da Khomeyni in seguito alla pubblicazione de “I versi satanici”. In questo saggio, Rushdie medita, quarant’anni dopo, intorno al suo libro (la versione integrale dell’intervento la leggete qui).
Longevità. Questo è il premio per cui gli scrittori si battono e che nessuna giuria è in grado di assegnare. Che un libro resista alla prova del tempo, che si tramandi per generazioni, è cosa assai rara. Non facciamo che questo, d’altronde, realizzare opere d’arte che, se siamo molto fortunati, ci resisteranno, dureranno nel tempo.
Da lettore, ho sempre amato le finzioni ampie, oceaniche, dal cuore generoso: i libri che raccolgono il mondo a larghe bracciate. Quando ho iniziato a scrivere quello che sarebbe diventato I figli della mezzanotte, ho guardato ai grandi romanzi russi del XIX secolo: Delitto e castigo, Anna Karenina, Le anime morte, libri che Henry James ha definito “mostri enormi, e insidiosi”. Ho guardato a Tristram Shandy (selvaggiamente innovativo, per nulla realista), a Vanity Fair (irto dei coltelli affilati della satira), a Little Dorrit (che per certe scene profetizza il realismo magico), a Casa desolata.
E quell’immenso precursore francese, Gargantua e Pantagruel, che è pura favola … leggi tutto