Intervista a Alessandra Condito Realizzata da Barbara Bertoncin
A un anno dall’inizio della pandemia, l’orizzonte della scuola resta segnato dall’incertezza; l’enorme sforzo compiuto dai professori, spesso non più giovani, per addestrarsi all’uso di nuove tecnologie; la preoccupazione per l’aumento delle manifestazioni di disagio tra i ragazzi, ma anche l’attivazione di canali di vicinanza emotiva inedita tra docente e studente; le rinnovate speranze ogni volta che la scuola riapre. Intervista a Alessandra Condito.
Alessandra Condito è dirigente scolastico del Liceo Scientifico Statale Einstein di Milano.
Qualche settimana fa, all’indomani della decisione di prorogare la chiusura delle scuole, lei aveva pubblicato un intervento un po’ sconsolato, oltre che preoccupato…
È così. È un pezzo che ho scritto veramente di getto; non mi aspettavo avrebbe avuto qualche eco. Ciò che in quel momento aveva creato grande rammarico e disagio era stato proprio questo continuo rinvio, questo continuo andirivieni, che sicuramente non ha fatto bene a chi opera nella scuola e ovviamente a chi dovrebbe abitarla, quindi agli studenti e alle loro famiglie. La percezione di quei giorni era che nell’immaginario dei decisori la scuola fosse diventata un po’ la pedina che si poteva spostare più facilmente per risolvere i problemi; insomma: “Va beh, dai, rimandiamo di un’altra settimana, apriamo, no, chiudiamo…”.
La sensazione provocata da questo tipo di comunicazioni, peraltro continuamente contraddette, era quella di una perdita di valore della scuola. Senza nulla togliere alla seria valutazione di quello che è il contesto emergenziale, il mio pezzo voleva enfatizzare appunto questa preoccupazione, questo scoramento. Voleva esprimere anche il timore che in questo continuo rinvio di tre giorni, una settimana, due settimane, un mese, stesse passando il messaggio che in fondo si poteva andare avanti così. Ecco, il mio timore più grande era che ci si abituasse.
È così. È un pezzo che ho scritto veramente di getto; non mi aspettavo avrebbe avuto qualche eco. Ciò che in quel momento aveva creato grande rammarico e disagio era stato proprio questo continuo rinvio, questo continuo andirivieni, che sicuramente non ha fatto bene a chi opera nella scuola e ovviamente a chi dovrebbe abitarla, quindi agli studenti e alle loro famiglie. La percezione di quei giorni era che nell’immaginario dei decisori la scuola fosse diventata un po’ la pedina che si poteva spostare più facilmente per risolvere i problemi; insomma: “Va beh, dai, rimandiamo di un’altra settimana, apriamo, no, chiudiamo…”.
La sensazione provocata da questo tipo di comunicazioni, peraltro continuamente contraddette, era quella di una perdita di valore della scuola. Senza nulla togliere alla seria valutazione di quello che è il contesto emergenziale, il mio pezzo voleva enfatizzare appunto questa preoccupazione, questo scoramento. Voleva esprimere anche il timore che in questo continuo rinvio di tre giorni, una settimana, due settimane, un mese, stesse passando il messaggio che in fondo si poteva andare avanti così. Ecco, il mio timore più grande era che ci si abituasse.
Che ci si abituasse all’assenza della scuola in presenza?
Anche confrontandomi con i docenti ho avvertito esattamente questo sentire: in fondo con la Dad stiamo comunque lavorando, in fondo i ragazzi ci seguono…
Noi abbiamo ripreso lunedì 18 gennaio, anche in questo caso con una comunicazione che è arrivata ufficialmente il sabato precedente. Devo dire che è stato proprio un nuovo inizio. È stato un po’ come ripartire con l’anno scolastico. A settembre c’erano molte preoccupazioni, ma anche molte energie. Avevamo passato l’estate a riorganizzare il tutto per fare una ripresa in sicurezza… Settembre è sempre il mese dell’inizio, con le sue paure, le fatiche eccetera. Quest’anno era tutto potenziato, però le sensazioni erano positive. Gli stessi docenti, anche quelli più preoccupati dell’aspetto sanitario, erano felici di essere qui… Alla fine, ciò che prevale è il piacere di esserci, di apprezzare la differenza tra una didattica in presenza e una didattica da remoto.
Anche confrontandomi con i docenti ho avvertito esattamente questo sentire: in fondo con la Dad stiamo comunque lavorando, in fondo i ragazzi ci seguono…
Noi abbiamo ripreso lunedì 18 gennaio, anche in questo caso con una comunicazione che è arrivata ufficialmente il sabato precedente. Devo dire che è stato proprio un nuovo inizio. È stato un po’ come ripartire con l’anno scolastico. A settembre c’erano molte preoccupazioni, ma anche molte energie. Avevamo passato l’estate a riorganizzare il tutto per fare una ripresa in sicurezza… Settembre è sempre il mese dell’inizio, con le sue paure, le fatiche eccetera. Quest’anno era tutto potenziato, però le sensazioni erano positive. Gli stessi docenti, anche quelli più preoccupati dell’aspetto sanitario, erano felici di essere qui… Alla fine, ciò che prevale è il piacere di esserci, di apprezzare la differenza tra una didattica in presenza e una didattica da remoto.
Anche questa volta abbiamo ripreso con una certa fiducia: speriamo non si riveli mal posta e che si possa proseguire anche con una percentuale ridotta.
L’ultimo Dpcm prevede, per le scuole superiori, il rientro in classe di almeno il 50% degli studenti, fino a un massimo del 75%. Può darsi che al 75% non si arrivi mai, tantomeno al 100%, però anche solo il 50% darebbe l’idea che la scuola superiore, che coinvolge una fascia d’età importante, resta aperta .. leggi tutto
L’ultimo Dpcm prevede, per le scuole superiori, il rientro in classe di almeno il 50% degli studenti, fino a un massimo del 75%. Può darsi che al 75% non si arrivi mai, tantomeno al 100%, però anche solo il 50% darebbe l’idea che la scuola superiore, che coinvolge una fascia d’età importante, resta aperta .. leggi tutto