Il mistero dei piedi di Maradona (ultimouomo.com)

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Tutti guardavano i piedi del Pibe de oro.

Notizie dall’estremità del mio corpo: le unghie dei piedi sono guarite. Parlo soprattutto di quelle del secondo dito di entrambi i piedi che, essendo “greci”, sono più lunghe degli alluci. Alla lunga, giocando con scarpini sempre stretti, si erano annerite anche quelle degli alluci, ma non cadevano l’una dopo l’altra come tessere di un domino – come invece facevano quelle del secondo dito, ormai curve come gusci di lumaca. In ogni caso, adesso i miei piedi non mandano più messaggi di dolore mentre mi metto i calzini e a malapena mi ricordo di tagliarmi le unghie quando, dormendo, graffio la mia compagna muovendomi sotto le lenzuola.

Non gioco a calcio/calcetto/calciotto da più di quattro mesi, per via della pandemia, e ho di nuovo i piedi immacolati, o quanto meno passabili. Era già successo nell’aprile 2020, e mi ero illuso fossero guarite per sempre, ma dopo neanche un mese da quando era stato possibile tornare a giocare avevo di nuovo le unghie nere. Come tutte le estati, anche quella passata, quando indossavo i sandali mi vergognavo. Ma si trattava di una vergogna che fa parte di me da troppi anni ormai. Ci tengo, anzi, ad avere i piedi “rotti”.

Le unghie nere sono la fede che porto ai piedi, un simbolo dell’amore per il calcio giocato. Sono anche l’unico segno esteriore di una passione che mi ha consumato da quando a cinque anni ho costretto mia madre a iscrivermi a scuola calcio con un anno di anticipo sul consentito. Quasi rimpiango quelli che “si sono fatti il crociato”, che possono toccarsi le cicatrici verticali sul lato del ginocchio, sfiorarne il rilievo con la punta delle dita, guardarle allo specchio con nostalgia dopo essersi fatti la doccia nella comodità di una casa.

Mi togli le unghie nere e della mia storia calcistica non resta niente. I piedi rotti sono la sola cosa che mi lega concretamente ai calciatori che ho ammirato, l’unica prova che abbiamo qualcosa in comune. Se non un talento, quanto meno un amore a cui sacrificarci.

Nasce da questo, credo, quella mia specie di feticismo per i piedi dei calciatori. Per le loro foto, per le loro storie. È lì che si materializza tutto ciò che altrimenti resterebbe intangibile, trascendente. Se non è possibile sapere dove abbia origine il talento, in quale tratto del codice genetico, in quale aneddoto traumatico e/o rivelatorio, almeno sappiamo dove finisce.

Nei piedi. E più grande è il calciatore, più grande il mistero contenuto dai suoi piedi. Va da sé, che il mistero più grande di tutti lo contenevano quelli di Diego Armando Maradona … leggi tutto

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