di Ayan Meer
La Superlega è il frutto di scelte politiche che vanno avanti da decenni.
«In questo momento critico ci siamo riuniti per consentire la trasformazione della competizione europea, mettendo il gioco che amiamo su un percorso di sviluppo sostenibile a lungo termine, con un meccanismo di solidarietà fortemente aumentato, garantendo a tifosi e appassionati un programma di partite che sappia alimentare il loro desiderio di calcio e, al contempo, fornisca un esempio positivo e coinvolgente».
Con queste parole, Andrea Agnelli ha annunciato il desiderio di dodici club europei di lanciare una nuova competizione, la Superlega, un torneo a numero chiuso alternativo alla Champions League, fondato su un modello di accesso slegato dai campionati nazionali, che potremmo chiamare per riassumere “all’americana”.
Come previsto, le reazioni sono state negative, sia quelle dei tifosi che dei commentatori, ma soprattutto quelle della UEFA e delle leghe nazionali dei club in questione, che hanno minacciato cause e rimozioni dai rispettivi campionati per i club coinvolti in questo progetto di secessione.
Il dibattito rimarrà acceso nelle prossime settimane e il modo nel quale evolverà la situazione nei prossimi mesi è incerto. Molto è già stato scritto negli ultimi anni sulla concentrazione sempre più oligopolistica di ricchezza e talento in pochi squadre europee, e di come questo abbia cambiato il panorama calcistico del continente. Spesso questa storia è raccontata come quella di uno sviluppo inevitabile, legato all’evoluzione della società, dei suoi consumi culturali e di cambiamenti economici strutturali legati alla globalizzazione.
Tutte queste chiavi interpretative non sono sbagliate, però tendono a elidere le politiche economiche portate avanti deliberatamente dai club più potenti, sempre in conflitto con un movimento calcistico più ampio, un conflitto basato sulla strategia del ricatto finanziario. Difatti, cosa rappresenta veramente questo annuncio dei dodici club? Un progetto concreto, oppure soltanto una minaccia per ottenere cambiamenti e trarre più benefici dalle competizioni esistenti?
Guardando alla storia del modello economico del calcio europeo, è possibile individuare in quest’ultima offensiva dei club più ricchi la continuazione logica di una politica attuata dalla metà degli anni ’70, sempre fondata sull’idea di ricatto per ottenere concessioni dalle organizzazioni regolatrici del calcio.
Come capita spesso con le evoluzioni del capitalismo attraverso i secoli, l’Inghilterra offre un esempio di queste strategie, che raccontano la storia di uno sport che ha intrapreso un cammino pluridecennale verso più disuguaglianza e pratiche monopolistiche, e di cui l’annuncio della Superlega è un risultato di continuità più che un fulmine a ciel sereno … leggi tutto