Sperare quel che non si vede (doppiozero.com)

di Rodolfo Sacchettini

Non sono molti gli scrittori che negli ultimi 
venti-trent’anni hanno scritto radiodrammi, 
ma non sono nemmeno così pochi. 

Però il loro coinvolgimento è pressoché legato inevitabilmente a committenze specifiche (quasi sempre Radio 3 Rai). Accade a volte che qualche autore abbia scritto radiodrammi a prescindere da una loro immediata realizzazione, piuttosto per sincero divertimento e per il gusto di sperimentare una forma che, anche a livello letterario, può riservare sorprese.

Infine può succedere, ma è molto raro, che questi testi siano pure pubblicati, vincendo le resistenze degli editori di solito piuttosto riluttanti a stampare radiodrammi, forse ritenendoli, sbagliando, un sottogenere della drammaturgia teatrale, poco adatto alla lettura.

Salvatore Mannuzzu, scrittore (Premio Viareggio nel 1988 con Procedura), magistrato fino al 1976 e politico (deputato come indipendente del PCI dal 1976 al 1987), scomparso nel 2019, è l’eccezione che conferma una regola che dovrebbe presto modificarsi, per il crescente interesse rivolto alle nuove e antiche narrazioni per l’orecchio, tra radio e web.

L’Editore Ronzani ha da poco pubblicato Polvere d’oro, il volume che raccoglie i suoi tre radiodrammi (uscito la prima volta in occasione degli ottant’anni dello scrittore, una decina di anni fa, su iniziativa della Facoltà di Lettere e Filosofia di Sassari), composti tra il 1996 e il 1997, con la ricca prefazione di Goffredo Fofi e l’affettuosa cura di Sante Maurizi. Mannuzzu che, secondo Fofi, «con Fabrizia Ramondino ha espresso al meglio una continuità con la grande generazione dei nostri scrittori del dopoguerra», recupera un genere artistico, quello del radiodramma, che proprio a partire dal dopoguerra e per tutti gli anni Cinquanta (e in qualche modo anche nei Sessanta, almeno in parte, nonostante la concorrenza spietata della televisione), ha attraversato il suo periodo d’oro.

La scoperta e la pratica di un genere artistico come il radiodramma (frequentato in Sardegna in momenti diversi anche da Antonio Santoni Rugiu, prima che si dedicasse alla pedagogia, e da Giuseppe Dessì) amplificano in questo caso una cifra tipica della scrittura di Mannuzzu, l’attenzione per la reticenza che da espediente retorico diventa il segno tangibile della sofferta presa di coscienza di un senso che pare irraggiungibile, di una mancanza che sembra farsi motore di tutto. E nei tre radiodrammi la reticenza nasconde lutti, fantasmi e desideri repressi.

Le voci che si ascoltano sono sempre quelle di una coppia, dei rispettivi amanti, di stretti conoscenti. L’ambiente è soprattutto universitario, benestante, colto, ma irrimediabilmente segnato da un’immobilità, un’inconcludenza quasi esistenziale. Anche l’età dei personaggi è molto simile, una maturità piena e non distante dalle prime curve della vecchiaia … leggi tutto

(Mehmet Turgut Kirkgoz)

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