Nel 1978 il fisico russo Anatoli Bugorski, all’epoca ricercatore trentaseienne, lavorava per il laboratorio di ricerca con il più grande acceleratore di particelle dell’Unione Sovietica,
il sincrotrone U-70, a Protvino, un piccolo insediamento di operai nell’oblast’ di Mosca. Il 13 luglio Bugorski stava verificando un guasto all’interno dell’acceleratore quando, a causa di un malfunzionamento dei sistemi di sicurezza, ebbe un incidente senza precedenti noti nella storia. Mentre cercava di riparare il guasto, incrociò con la testa il percorso del fascio di protoni sparato a 76 GeV (gigaelettronvolt, l’unità di misura dell’energia acquistata da un elettrone quando si sposta tra due punti nel vuoto con differenza di potenziale di un miliardo di volt).
Descrivendo la sensazione provata al momento dell’incidente, Bugorski raccontò di aver visto un lampo più luminoso di mille soli. Il fascio concentrato gli attraversò la parte sinistra del cranio, senza inizialmente procurargli alcun dolore. Quello che accadde nelle ore e negli anni successivi – Bugorski sopravvisse all’incidente, contro ogni aspettativa – è ancora oggi oggetto di analisi e riflessioni tra studenti, ricercatori ed esperti di fisica, affascinati dall’eccezionalità e irripetibilità dell’esperimento.
Il laboratorio in cui Bugorski lavorava, l’Istituto per la Fisica delle Alte Energie di Protvino, disponeva dell’acceleratore in grado di produrre fasci di protoni con la più alta energia finale al mondo all’epoca della sua costruzione, completata nel 1967. In genere lo scopo di queste macchine – estremamente complesse – è di accelerare fasci di particelle a velocità elevatissime, e guidarli e concentrarli lungo il loro percorso per mezzo di potenti campi magnetici.
I tubi metallici all’interno dei quali viaggiano le particelle creano una condizione di vuoto quasi perfetto, privo di aria o di polvere, e i fasci possono essere diretti a colpire un altro fascio oppure un bersaglio prestabilito come un foglio di metallo.
Al momento dell’incidente di Bugorski, che all’epoca era un giovane dottorando assunto nel laboratorio da poco tempo, gli operatori nella sala di controllo non avevano ancora spento il fascio nonostante sapessero dell’ispezione imminente. Un segnale luminoso presente all’ingresso della camera dell’acceleratore avrebbe comunque dovuto segnalare l’attività in corso e impedire a chiunque di entrare, ma si ritiene che la lampadina fosse fulminata o che il sistema di sicurezza presentasse qualche altro difetto provvisorio.
Una volta dentro, Bugorski si chinò nella parte in cui il fascio passava da una sezione del tubo dell’acceleratore a quello successivo, quasi alla velocità della luce, e fu colpito immediatamente. Non avvertì dolore, ma come addetto ai lavori fu consapevole della gravità della situazione: con ogni probabilità, nessun essere umano era mai stato colpito da un fascio di radiazioni protoniche concentrato a un’energia così elevata.
Terminato il lavoro all’interno della camera, uscì senza riferire dell’accaduto e poi tornò a casa … leggi tutto