di Sandro Abruzzese
Sulla Questione comunista in Italia si potrebbe cominciare, se non altro per limitare il campo, da quell’11 giugno del ’69,
a Mosca, dove il futuro segretario del Pci, Enrico Berlinguer, alla Conferenza internazionale dei partiti comunisti, non solo ribadisce la via italiana al socialismo: una via democratica, plurale, nel solco della Costituzione repubblicana; ma rivendica un internazionalismo in funzione antimperialista e antifascista fatto di piena sovranità e parità di diritti tra tutte le nazioni. È un discorso noto, in cui, a pochi anni dal Memoriale di Yalta, il Pci di Longo rifiuta ancora una volta l’ipotesi di stati guida, e condanna nuovamente l’intervento sovietico in Cecoslovacchia dell’anno precedente.
La libertà della cultura, la questione dell’indipendenza e della sovranità, ogni ampliamento democratico, sono auspicabili per la credibilità stessa del socialismo, questa la posizione italiana, che segue la linea storicistica tracciata da Gramsci e Togliatti, il quale, come ebbe a dire Renzo Liconi, per primo aveva maturato l’abbandono della statalizzazione dell’economia in virtù della socializzazione della politica.
All’Unione sovietica viene sì riconosciuto lo sforzo per la pace, per l’emancipazione dei popoli, il ruolo guida della Rivoluzione d’Ottobre, tuttavia da tempo in Italia si rivendica completa maturità e autonomia di giudizio.
È una tappa, questa del ’69, frutto di una lunga e lenta strategia: in politica estera il percorso è verso l’Europa, in politica interna riguarderà il rapporto con i cattolici e Moro, a cui dal ’75 seguono gli incontri informali con gli americani, affidati a Luciano Barca.
L’avvento di Berlinguer alla guida del Pci coincide con una fase internazionale e interna di inaudita gravità. Il ’73 è anno di crisi mondiale sancita dalla Guerra del Kippur. Per l’Italia vuol dire crisi del petrolio (da 2-3 dollari a 12), sommata alla comparsa dei competitori asiatici, ai problemi valutari. Per dare una cifra basti dire che il prezzo del petrolio nel 1979 sarà di 32 dollari a barile, mentre nel 1987 sarebbe tornato ai livelli del ’74.
Se dal punto di vista economico si rischia il collasso, non va certo meglio sotto il profilo politico, anzi dal ’69, con i fatti di Reggio Calabria e la strage di piazza Fontana, comincia la Strategia della tensione, l’attacco alle istituzioni democratiche da parte di un grumo inossidabile di poteri occulti con diramazioni nei servizi segreti e nelle istituzioni, che all’estero aveva avuto successo in Grecia con i Colonnelli e nel Cile di Allende.
In politica interna, l’iniziativa di Berlinguer prende il nome di compromesso storico, ovvero la proposta di pacificazione, dopo lo strappo del ’47 con la Democrazia cristiana di De Gasperi, da cui una rilegittimazione del Pci che lasci cadere la pregiudiziale anticomunista in qualità di forza di governo. Il piano prevede l’ingresso dei comunisti in una compagine di governo e, dopo lo sdoganamento, la possibilità dell’alternanza tra le due forze principali del paese e gli altri partiti. Il compito di Berlinguer e Moro a questo punto è operare una lenta convergenza tra i due partiti per portare a termine la normalizzazione.
In seguito al successo elettorale del Pci alle elezioni del 15 giugno ‘76, sotto molti aspetti la strada appare propizia: è Agnelli a definire la vittoria delle sinistre uno «scossone salutare» all’immobilismo governativo in vista delle riforme. Oppure sono il repubblicano Ugo La Malfa e il governatore della Banca d’Italia Guido Carli a mostrare convinte aperture alla strategia comunista.
Per tutta risposta, sempre nel ’76, Berlinguer non solo arriverà a escludere la possibilità di uscire dalla Nato ma, rischiando contraccolpi interni al partito, dirà che “si sente più sicuro da questa parte” dell’Europa. È all’apice della sua parabola: il Pci raggiunge i 12 milione e seicentomila voti. Tuttavia la strada è impervia e ricca di insidie.
Seguono, per rivoluzionare il paradigma del sistema, le riflessioni sulla qualità del consumo e sull’austerità: è la fabbrica, la società, a dover essere più umana, più vicina alle esigenze dei lavoratori. Si sposta così l’attenzione dal solo lavoro, sottolinea Luciano Barca, all’intera vita dell’essere umano.
Nel complesso è l’utopia concreta di un’Italia più razionale e giusta a farsi strada, per cui occorre un partito diverso dagli altri, che continui a fare, come in passato, dell’elaborazione teorica e politica, della lotta culturale, dell’educazione di massa, la sua temibile forza … leggi tutto