L’URLO DI BRUCE LEE (minimaetmoralia.it)

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Guizza sullo schermo, Bruce Lee.

Il corpo minuto, scintillante di sudore, è percorso da muscoli che corrono sotto pelle, come serpenti. I passetti sono agili, da ballerino di cha chacha che è stato, in una delle tante vite, compresse in un’esistenza fulminante.

Nella scena madre de L’urlo di Chen terrorizza anche l’Occidente, sta danzando intorno ad uno scimmiesco Chuck Norris, all’esordio cinematografico. Lee saltella a guardia bassa, come l’adorato Mohammed Ali, a cui vuole rubare l’aura di mito universale. Campione di karate statunitense, nel film e nella vita, Norris è stato assoldato da un clan mafioso per uccidere Lee, ragazzo arrivato da Hong Kong per difendere suo zio, proprietario di un ristorante, dalle vessazioni della malavita locale.

Bruce e Chuck si ritrovano metafisicamente soli, in un Colosseo deserto, dechirichiano, ricostruito a Hong Kong, a parte qualche reale ripresa esterna. Rubata in fretta e furia, perché la produzione non poteva permettersi di affittare l’Anfiteatro Flavio.

Amici per la pelle fuori dal set, Lee e Norris si battono in scena come gladiatori postmoderni, sotto lo sguardo perplesso di un gattino, unico spettatore. Sfiorarsi il naso con il pollice, per Lee, è un rito umoristico, il preludio quasi infantile alla sequenza di colpi letali e calci aerei pieni di grazia, da Nureyev artaudiano. Il Kiai, urlo ancestrale che gela il sangue, scandisce la danza macabra di un uomo in rivolta.  Strappa i peli dal petto villoso del suo avversario, ne fratturagli arti, e lo finisce spezzandogli il collo. Dopo averlo ucciso, però, sembra colto da un soprassalto di pietas. Depone, con rituale rispetto, il kimono e la cintura nera dell’avversario sul suo corpo esanime.

Mentre si lascia alle spalle il Colosseo, ancora assetato di vendetta, Bruce Lee, sembra esplodere di vita, come un eroe epico e invulnerabile. Eppure è già morto da un anno, mentre sfavilla sul telo un po’ logoro del Cinema Ariston, a Campobasso, provincia remota del sud italiano. È una fredda sera di metà gennaio del 1974: giù in platea, eccitati tra le sedie di legno, i ragazzini campobassani sono irretiti dal loro nuovo idolo, che ha già perso consistenza terrena, per entrare nel mito.

Bruce Lee si è misteriosamente addormentato l’anno prima, nel luglio del 1973, nel suo corpo da semidio trentenne. Aveva girato L’urlo di Chen nella primavera del 1972: come una leggenda ancora in crisalide, vagava per Roma da totale sconosciuto, nell’indifferenza generale … leggi tutto

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