di Alessandro Barile
Jean Ziegler è autore fin troppo noto, anche in Italia.
Il suo ruolo politico all’Onu e la sua attività di divulgatore al confine tra sociologia e politica, ne fanno uno dei più apprezzati narratori dei guasti della globalizzazione. Molti dei suoi libri si prestano infatti ad un immediato uso militante, alimentando le ragioni degli sconfitti del liberismo, accomunando la sua fortunata verve polemica a quella di altri autori-simbolo della stagione no-global: Naomi Klein, Edoardo Galeano, gli scritti politici di Noam Chomsky. Almeno con gli altri due autori anglosassoni Ziegler condivide anche l’orizzonte utopico di fondo, di matrice libertaria, vagamente terzomondista, sospettosa verso le esperienze socialiste di ieri e di oggi.
Il tramonto della stagione dei controvertici dei primi anni Duemila ha ridimensionato la fortuna pubblica di molti di questi autori. Ziegler, invece di cedere al pessimismo della ragione, in ogni sua pubblicazione trasuda ottimismo verso l’avvenire, le giovani generazioni, i nostri figli, che riusciranno – sembra continuamente dirci – laddove abbiamo fallito noi e i nostri padri. Anche questo spiega il suo ultimo lavoro tradotto in italiano, questo Capitalismo spiegato a mia nipote che si inserisce in un suo filone di pubblicazioni dal taglio simile e dagli obiettivi invariati: spiegare nella forma più semplificata possibile perché è giusto abbattere il capitalismo.
L’autore non può essere certo accusato di ambiguità. Alla soglia dei novant’anni non ha remore nel dichiarare che «il capitalismo non può essere ridefinito. Deve essere distrutto. Totalmente, radicalmente, affinché si possa concepire un’organizzazione sociale ed economica del mondo del tutto inedita».
E ancora: «ciò che ci viene richiesto, quel che ci si aspetta dalla tua generazione, è la distruzione del capitalismo, il suo superamento» (p. 107) … leggi tutto
Jean Ziegler, Il capitalismo spiegato a mia nipote (nella speranza che ne vedrà la fine), Meltemi, 2021, pp. 124, € 12,00.