di Karim El Sadi
Intervista a Michele Giorgio, corrispondente del Manifesto: “Il cessate il fuoco regge ma è molto fragile”
Michele Giorgio è un giornalista che da anni vive in Palestina. Scrive per il Manifesto e dirige il sito Pagine Esteri. Se in Italia la carta stampata può contare su puntuali e chiarissimi articoli dalla Palestina dimenticata lo si deve a lui e ai suoi reportage sul quotidiano comunista per il quale è corrispondente a Gerusalemme. In questo senso Michele Giorgio è un corrispondente come pochi oggi. Scende in strada, si immerge tra la gente, ne ascolta le storie e corre pericoli (va detto che Israele non è molto clemente con i cronisti). Insomma, si “sporca le mani”.
Qualche settimana fa lo avevamo intervistato per un evento sulla Nakba, l’esodo del popolo palestinese nel ’48, ma aveva dovuto lasciarci prima del previsto perché durante la nostra telefonata aveva ricevuto notizia di grandi tafferugli nella città santa. Era il giorno in cui le forze di occupazione israeliane hanno invaso in massa la spianata delle moschee di Al Aqsa. Da quella chiacchierata è passato del tempo e nel mentre in Palestina la situazione è precipitata, proprio per i fatti di Gerusalemme, con il lancio di razzi di Hamas dalla Striscia e i bombardamenti di Israele che hanno provocato 254 morti e oltre 90 mila sfollati palestinesi.
Dopo il cessate il fuoco Giorgio è riuscito ad entrare a Gaza e ci ha illustrato, con dovizia di particolari, quella che è la drammatica situazione che si vive nella Striscia dopo questi undici giorni di raid serratissimi.
u hai riportato varie offensive israeliane: dall’operazione “Piombo fuso”, ancor prima testimoniata in diretta da Vittorio Arrigoni che era l’unico cronista presente dentro la Striscia quei giorni, fino alle offensive del 2012 e l’ultima del 2014. Cosa hanno visto i tuoi occhi questa volta e cosa ti ha colpito più di altre di questa offensiva?
Parlando brevemente dell’ultima operazione militare, “Protective edge”, l’aviazione e l’esercito israeliano spianarono letteralmente la fascia est di Gaza, da nord a sud. Ricordo che si attraversava una distesa lunga chilometri di macerie e case distrutte e quartieri interi cancellati. Questa volta le distruzioni sono state più limitate e al contempo più concentrate.
La cosa che mi ha colpito è che hanno preso di mira le strade, ci sono arterie stradali centrali, anche a Gaza City, che sono state distrutte. E, cosa più importante, sono state colpite anche zone residenziali di Gaza city che erano state relativamente risparmiate nel 2014. Ad esempio il quartiere Remal, dove vive una piccola borghesia, se così possiamo definirla, che in quell’anno era stato in gran parte risparmiato, questa volta invece è stato colpito duramente. Inoltre è stato raso al suolo il palazzo Al Jala, che, oltre ad ospitare famiglie palestinesi, era la sede di Al Jazeera a Gaza e di Associated Press. L’altra cosa che mi ha stupito, e che mi hanno raccontato tutti i palestinesi che ho incontrato, è la qualità dell’attacco sferrato.
Rispetto al 2014 la qualità tecnologica è stata maggiore. Ad esempio sono avvenute lunghe sequenze di esplosioni in pochi secondi che hanno terrorizzato la popolazione. In tanti da Gaza mi hanno riferito che ci sono stati casi in cui in trenta secondi sono state registrate trenta esplosioni. Quindi devono essere state usate delle bombe all’avanguardia dalle quali potevano partire evidentemente altre bombe in grado di colpire più obiettivi simultaneamente. E poi anche il fatto che sono stati utilizzati nello stesso momento più aerei. Israele stesso ha reso noto di aver compiuto nel giro di un’ora 160 missioni aeree contro la Striscia.
La novità, quindi, è stato questo attacco tecnologicamente elevato che però si è trasformato sul terreno in terrore puro per la popolazione civile. C’era grandissimo shock … leggi tutto