di SIMONE LONATI E CARLO MELZI D’ERIL
Il diritto alla speranza non può essere negato neppure al condannato all’ergastolo: lo stabilisce la Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
E la Corte costituzionale lo ha ribadito, con l’ordinanza sull’ergastolo ostativo. Ora tocca al Parlamento.
Dal mito ai giorni nostri
Alla domanda di Jahvè («Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora tu sei maledetto (…) sarai ramingo e fuggiasco per il mondo»), Caino ammette il valore assoluto del «non uccidere», riconosce la propria colpa e accetta la punizione («Troppo grande è la mia colpa (…) chiunque mi troverà mi ucciderà»).
Tuttavia, la giustizia di Jahvè è più alta di quella dell’uomo («Non sarà così»), perché ispirata alla speranza che chi ha sbagliato possa cambiare e quindi meritare il perdono («E Jahvè pose un segno su Caino, cosicché chiunque l’avesse incontrato non l’avrebbe ucciso»). Ma la narrazione della Genesi (4, 10-17) ha ancora un’appendice che troppo spesso viene dimenticata: «Caino (…) poi divenne costruttore di città». L’assassino ripaga il male compiuto non tanto con una sofferenza fine a sé stessa, ma attraverso l’accettazione della pena accompagnata da un percorso rieducativo che dovrebbe aiutarlo ad attuare un agire positivo.
Passando dal mito ai giorni nostri, pure l’ordinamento – al pari di Jahvè – condivide la speranza che anche il responsabile dei crimini più gravi possa cambiare. E perciò non sono ammesse presunzioni legali di irrecuperabilità sociale. Nessuna pena può rimanere indifferente all’evoluzione del soggetto che la subisce.
Postulati, questi, impliciti nella funzione rieducativa assegnata alla pena dalla Costituzione: quel dover “tendere” alla rieducazione previsto dall’articolo 27 della Carta significa che il risultato non deve essere né imposto, né certo, ma neppure deve essere ritenuto impossibile. In definitiva, va riconosciuto al condannato il diritto alla speranza, che si traduce sovente in una spinta motivazionale in grado di promuovere positive evoluzioni psico-comportamentali in vista di un proficuo, anticipato rientro nella società civile.
Il diritto alla speranza non può essere negato neppure al condannato all’ergastolo, come ha stabilito anche la Corte di Strasburgo, incardinandolo sull’art. 3 Convenzione europea dei diritti dell’uomo: di fronte a pene perpetue o comunque di durata simile a quella della vita intera, il sistema deve prevedere la possibilità di un riesame che permetta di verificare se, durante l’esecuzione della pena, il detenuto abbia fatto progressi sulla via del rinserimento sociale (Corte eur., 13 giugno 2019, Marcello Viola c. Italia, n. 2, § 103-122).
In altre parole, dalla nostra Costituzione e dalla normativa sovranazionale è possibile desumere una linea di confine invalicabile nel regolare l’esecuzione penale: né una disposizione né una decisione può mai avere come effetto quello di togliere, oltre alla libertà, anche la dignità e la speranza … leggi tutto