di Massimo Franco
Nell’enfasi dell’intervento del premier, che ha descritto la Nato come «pietra angolare della nostra sicurezza» negli ultimi 72 anni, si avverte qualcosa di più:
un messaggio destinato anche ai partiti del suo governo
Le parole di Mario Draghi pronunciate ieri dopo la riunione della Nato a Bruxelles possono anche apparire prevedibili. È noto che il premier e ex presidente della Bce è un atlantista convinto; e che una delle letture meno sottolineate sul suo arrivo al vertice del governo riguarda la sterzata netta per fare tornare l’Italia nel suo alveo strategico tradizionale dopo gli sbandamenti del populismo.
Ma nell’enfasi del suo intervento, nel quale ha descritto la Nato come «pietra angolare della nostra sicurezza» negli ultimi 72 anni, si avverte qualcosa di più: un messaggio destinato anche ai partiti del suo governo.
Draghi sembra parlare agli alleati europei che negli ultimi anni hanno visto nei vincoli atlantici non solo uno scudo ma una gabbia. Ma si rivolge in parallelo ad alcune delle forze politiche che a intermittenza hanno mostrato la tentazione di slittare e far slittare il Paese verso posizioni ambigue: fino a dare l’impressione di una pericolosa equidistanza tra Nato e Federazione Russa o Cina.
Si tratta di una bussola geopolitica che costringe soprattutto Lega e Movimento Cinque Stelle a ricalibrare i loro punti cardinali a livello internazionale. Il Pd dovrebbe risentirne di meno, nonostante l’alleanza controversa col grillismo.
La sensazione è che il premier si presenti nei panni di vero regista della politica estera.
E che si confermi il garante dell’ortodossia italiana non solo nei rapporti finanziari con l’Ue, ma sul piano militare e strategico con gli Usa; con la sponda del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini. Ma l’eco italiana del G7 e della riunione della Nato è sovrastata dalla scelta faticosa dei candidati alle elezioni di ottobre nelle grandi città; dalle polemiche su alleanze tuttora in evoluzione … leggi tutto