di Gian Antonio Stella
Gli ambientalisti continuano la lotta contro petroliere e navi da crociera,
ma dopo oltre vent’anni perfino l’Unesco chiede solo una «soluzione di lungo periodo»
«Oltre alle petroliere vanno estromesse anche le grandi navi da crociera (fino a 50.000 tonnellate) che ora si lasciano entrare persino nel bacino di San Marco e nel Canale della Giudecca», disse a nome di Italia Nostra lo storico e accademico Gherardo Ortalli. Era il gennaio del 2000. Leggere oggi, ventuno anni dopo il grido d’allarme (il quintuplo del tempo impiegato dalla Serenissima dal 1600 al 1604 per lavori giganteschi come il taglio del Po: il quintuplo!) che l’Unesco «sottovaluta gli sforzi che si stanno facendo» (copyright Pier Paolo Baretta) lascia basiti.
Ma come: quella che forse è la massima istituzione culturale internazionale chiede con urgenza una «soluzione di lungo periodo», che dia «massima priorità all’ipotesi di impedire totalmente l’accesso in laguna» delle Grandi Navi riportate a Venezia nonostante gli ipocriti impegni presi a ridosso dell’incidente alla Mona Lisa a Riva degli Schiavoni nel 2004, della catastrofe all’Isola del Giglio nel 2012, dell’agghiacciante sbandata della Msc Opera che investì un’altra nave e fece accapponare la pelle a tutti nel 2019, c’è ancora chi chiede tempo? Quanto? Fino al prossimo sindaco? Al prossimo governatore? Al prossimo premier? Un anno? Dieci? Trenta?
C’è da stupirsi, semmai, della pazienza della stessa Unesco, che già più volte, sotto la spinta di Italia Nostra, Venetian Heritage e altre associazioni culturali di mezzo mondo aveva paventato l’ipotesi di inserire Venezia tra i siti a rischio. Certo, il problema non è di facile soluzione, tanto più dopo la scelta negli anni Novanta di puntare sempre di più sulle navi da crociera.
Ma la politica dei rinvii, finora, ha fatto solo disastri … leggi tutto