Come gli hippy hanno salvato la letteratura (doppiozero.com)

di Claudio Castellacci

Gli anni sessanta sembrano non finire mai. 
Ritornano. 

E a cicli sempre più brevi. Di quegli anni ritornano i miti. Mai superati, sorpassati, surclassati. E anche se non c’era niente di eroico nell’essere giovani allora, i Baby Boomers si struggono ancora di nostalgia per averli vissuti in prima persona, mentre i Millennials e le generazioni seguenti (X, Y, Z, Alpha), ne scoprono e, sotto sotto, ne invidiano l’irripetibile stagione di creatività.

E se in musica sembra proprio che the times they are [NOT] a-changin’ – lo hanno dimostrato i recenti festeggiamenti per gli ottant’anni di Bob Dylan, sessanta dei quali li abbiamo passati in compagnia della colonna sonora delle sue ballate – nel campo delle arti visive, a Firenze, a Palazzo Strozzi, si festeggia un quarantennio di American Art 1961-2001, dove a farla da divo, già dal manifesto, sono l’imperituro Andy Warhol e la Pop Art nelle sue caleidoscopiche varianti.

Questo mentre in letteratura atterrano sui banchi delle nostre librerie due titoli freschissimi di stampa, vanti della controcultura: il primo, un inedito (per l’Italia) di Ken Kesey, A volte una bella pensata, che le edizioni Black Coffee pubblicano in occasione del ventennale della morte dell’autore (era uscito negli Stati Uniti nel 1964, due anni dopo Qualcuno volò sul nido del cuculo, l’opera che aveva reso famoso Kesey).

Il secondo è una nuova edizione, e relativa traduzione, di Vineland (Einaudi) – opera di culto, come si suol dire in questi casi – dell’elusivo Thomas Pynchon, leggendario recluso, o desaparecido se preferite, della letteratura (titolo che condivide con il J.D. Salinger del Giovane Holden) annoverato tra i massimi scrittori americani viventi, idolo e icona della controcultura, che in questo libro dipinge un affresco della stagione post hippy che gira intorno al personaggio di Zoyd Wheeler, residuato umano degli anni sessanta, anni dalla cui influenza e fascinazione, come dicevamo, non ci siamo ancora ripresi.

E dire che il decennio di love and peace era “finito” più volte, purtroppo sempre nel sangue: nel 1963 con l’assassinio del presidente John F. Kennedy, nel 1968 con gli assassinii del reverendo Martin Luther King e del senatore Bob Kennedy, nel 1969 con il pluri-omicidio-mattanza che avrà, fra le sue vittime, l’attrice Sharon Tate, moglie del regista Roman Polanski, compiuto da adepti della setta capitanata da Charles Manson – fondamentalmente un cantante fallito a cui l’LSD e tutte le droghe del mondo avevano bruciato il cervello … leggi tutto

(Katia Rolon)

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