Quando due elettori su tre restano a casa, diventa difficile anche solo parlare di «democrazia rappresentativa».
La sconfitta di Marine Le Pen e la lezione per il centrodestra italiano
Afuria di rivolgersi solo agli ultras delle curve, lo stadio della politica si è svuotato. Potrebbe essere questa la lezione che la desolante percentuale di votanti alle regionali francesi ha dato all’Europa. Quando due elettori su tre restano a casa, diventa difficile anche solo parlare di «democrazia rappresentativa». E per quanto si possa star certi che alle presidenziali l’affluenza sarà ben diversa, questo voto, o non-voto, rappresenta la bocciatura di un intero sistema politico.
Si era detto: dopo la pandemia niente sarà come prima. Ma forse lo si diceva senza crederci troppo. Senza capire fino in fondo che ci troviamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma della politica europea, di proporzioni non dissimili dal terremoto che portò sulla scena le forze populiste, ma di segno inverso. Anzi, è oggi proprio la «nuova politica», quella che era nata per riempire il vuoto di credibilità della «vecchia», a conoscere in Francia la sua sconfitta più bruciante.
E non solo Marine Le Pen, regina dei sondaggi rimasta per l’ennesima volta con un pugno di mosche in mano. Ma anche Macron, col suo movimento nato dal nulla proprio per sbarrarle la strada dell’Eliseo, ha fatto flop. A sorpresa, così, sono stati i «vecchi partiti», gollisti e socialisti, con le loro coalizioni d’antan, a tornare sulla scena.
Si sarebbe tentati di trarne una conclusione apparentemente logica: stanchi di tutta la retorica del «nuovo», gli elettori tornano all’usato sicuro. Ma sarebbe un errore. Più probabile che siano in movimento, in cerca di qualcosa di più adatto all’era di ricostruzione economica e sociale che ci aspetta, e che per ora si dividano tra l’assenteismo e ciò che passa il convento.
Potrebbe cioè trattarsi solo di una fase di transizione, di stallo, foriera però di nuovi equilibri, ansiosa di novità … leggi tutto