Se “ius soli” non piace, chiamiamola cittadinanza alla tedesca (lavoce.info)

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Sono più di 900 mila i figli di immigrati che 
aspettano la riforma della cittadinanza, dopo 
gli equivoci creati dallo slogan “ius soli”. 

I margini per un compromesso in Parlamento ci sono. Sarebbe invece un errore aspettare la prossima legislatura.

Una riforma necessaria

Diciotto anni di residenza ininterrotta, per i figli nati in Italia da genitori immigrati, prima di poter fare domanda per diventare cittadini. Appare sempre di più una ferita della nostra democrazia la norma della legge 91 del 1992, che venne approvata all’unanimità dal nostro Parlamento.

Ne fanno le spese i figli degli immigrati nati in Italia che, secondo le stime accreditate dal Centro di ricerche Idos, erano 800 mila due anni fa e oscillano ora tra i 900 mila e il milione. Nell’anno scolastico 2018-2019 i giovani stranieri iscritti, dalle materne alle superiori, erano 858 mila, dei quali 553 mila nati nel nostro paese. Favorirne l’integrazione attraverso norme meno impietose sulla cittadinanza, sembra un’esigenza improcrastinabile. Il 14 marzo, nel discorso all’assemblea nazionale che lo avrebbe proclamato segretario del Pd, Enrico Letta ha promesso il suo impegno. Poco più di due mesi dopo, il 26 maggio, lo ha ribadito a un convegno delle Acli.

Se si crede davvero nel diritto di cittadinanza di questi bambini e di questi ragazzi, occorre prendere atto anche degli errori commessi e porvi rimedio con una triplice correzione di rotta.

Primo, è necessario cambiare la narrazione, scandita finora in modo martellante da un termine, “ius soli”, che ha generato molti equivoci. Secondo, vanno cercate con ostinazione le alleanze politiche necessarie a condurre l’iniziativa in porto. Terzo, e di conseguenza, è opportuno essere disposti ad apportare alcune modifiche al proprio progetto originario.

Gli equivoci generati dal termine “ius soli”

La riforma, approvata nel 2015 dalla Camera e inabissatasi due anni dopo al Senato, si basava su due pilastri: concedere la cittadinanza ai bimbi nati in Italia da genitori non Ue, dei quali almeno uno possedesse un permesso di lungo soggiorno (che può essere richiesto solo dopo cinque anni di residenza regolare) e prevedere il cosiddetto “ius culturae”, e cioè la possibilità che un minore non nato in Italia conquisti da solo la cittadinanza attraverso un ciclo scolastico.

Ma l’uso del termine “ius soli” si è rivelato un autentico boomerang per il successo della proposta. Ha infatti spalancato le porte a una facile e di fatto vincente propaganda degli anti-riforma, quella secondo cui chi nasce da noi diventerebbe automaticamente italiano, nella versione di “ius soli assoluto”, all’americana. Trasformandoci, con gli arrivi dall’Africa, “nella più grande sala parto del Mediterraneo”. Senza contare che lo “ius soli” in Italia c’è già: quello “temperatissimo” dei 18 anni di residenza ininterrotti dalla nascita, che con la riforma sarebbe diventato “temperato”.

Distinzioni per iniziati, che non arrivano alla gente, ai social e nemmeno ai titoli dei giornali e delle tv … leggi tutto

(Nathan Dumlao)

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