Un viaggio di cento chilometri, dal campo di Nezuk fino a Potočari, nel comune di Srebrenica.
È un modo per ricordare le oltre 8000 vittime del genocidio avvenuto nel luglio del 1995, nel pieno della guerra che seguì alla dissoluzione della Yugoslavia.
In quei caldi giorni di 26 anni fa, i civili bosniaci disarmati in fuga vennero trucidati dalle forze della Republika Srpska sotto il comando del generale Mladic, mentre attraversavano la zona che avrebbe dovuto essere sotto la tutela di un contingente olandese di caschi blu dell’Onu.
Alla marcia, che si svolge ogni anno, partecipano anche i sopravvissuti alla strage, i figli degli abitanti di Srebrenica uccisi, ma anche molti che a quel tempo non erano ancora nati. Bakir Mehmedović: “È la sesta volta che partecipo alla “Marcia della pace”. Ho dieci anni”.
“La strada non è difficile, e così una persona può capire cosa provassero coloro che allora cercavano di raggiungere il territorio protetto. Poi oggi se teniamo presente le condizioni in cui la strada era a quel tempo, non possiamo lamentarci. Per un paio d’anni abbiamo marciato sotto la pioggia, ma abbiamo tenuto duro e siamo arrivati tutti a destinazione. A differenza loro, che non hanno mai più visto la libertà”, dice Adzaka Mehić.
Per il gencidio dei bosniaci di Srebrenica il Tribunale penale internazionale ha condannato il generale Mladic all’ergastolo e il presidente serbo-bosniaco Karadzic a 40 anni di carcere, Nessuna sanzione invece ai 600 caschi blu olandesi che non intervennero permettedo cosi il massacro.