La giustizia (malata) da curare (corriere.it)

di Antonio Polito

Non è vero dunque che se i processi sono lunghi 
non si possa fare niente:

per cominciare se ne potrebbero fare di meno, depenalizzando alcune fattispecie di reato. Si potrebbero stabilire regole comuni di priorità. Si potrebbe assumere personale e magistrati. Se ne potrebbero mettere di meno fuori ruolo

Si deve sempre scegliere il male minore in democrazia. Ogni decisione politica è (dovrebbe essere) la ricerca di un punto di equilibrio tra un vantaggio e uno svantaggio, purché nell’interesse superiore della collettività.

È sicuramente questo il caso della riforma della giustizia penale e della prescrizione in particolare. Da un lato c’è la vergogna nazionale di una durata eccessiva del processo, che «imprigiona» per anni l’imputato, perfino se innocente in primo grado, viola impunemente la Costituzione e ha guadagnato all’Italia il record di condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo (ne abbiamo collezionato il doppio della Turchia). Dall’altro lato c’è il rischio che «ghigliottinando» dopo un tempo dato i processi in Appello e in Cassazione si finisca con il negare — in alcuni distretti giudiziari, quelli che non ce la fanno — l’esigenza di giustizia delle parti lese e dell’intera comunità.

Spetterà dunque al Parlamento cercare e trovare questo equilibrio, ascoltando il parere di chi se ne intende e dibattendo con serietà il problema. È sicuramente possibile una soluzione migliore della situazione attuale, e del resto è a questo che servono i Parlamenti. Mi ha colpito però sentir usare da parte di alcuni, anche magistrati, un argomento contro la riforma che non si dovrebbe accettare. Si sostiene che poiché troppi processi durano nella realtà più di quanto consentito dalla proposta della ministra Cartabia, bisognerebbe lasciare tutto com’è. Mentre questa sembra piuttosto un’ottima ragione per intervenire, una circostanza aggravante e non esimente.

Facciamo un paragone: nessuno oserebbe mai giustificare l’eccessiva lunghezza delle liste di attesa per un esame diagnostico o un’operazione in ospedale. Purtroppo questo disservizio accade, ma il senso comune non può accettarlo come un fatto compiuto. Gli stessi operatori del settore si pongono il problema di come trovare soluzioni, di come organizzare alternative.

Quando si arriva a un pronto soccorso c’è un triage che separa i casi urgenti, i codici rossi, dagli interventi che possono aspettare; e lo stesso ovviamente vale per gli interventi chirurgici, c’è una gerarchia di priorità. Lo Stato consente d’altronde al cittadino di rivolgersi a un altro ospedale, in un’altra regione, se il servizio non è celere ed efficiente … leggi tutto

(David Veksler)

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