C'è un problema di classe nelle industrie creative e culturali italiane. E questo problema è enorme, ma è un elefante nella stanza dei creativi che tutti fanno finta di non vedere.
La “classe creativa” italiana non rappresenta la diversità della società italiana, è altresì composta al suo interno di una frazione ben precisa della società: la classe media urbana, ad alto tasso di capitale culturale/sociale/economico, riprodotto di padre in figlio, di generazione in generazione.
Perché è un problema? Perché quello che questa classe produce – giornali, libri, film, serie tv, pubblicità, moda – è un universo di simboli che portano inscritto nel loro DNA il retaggio culturale di chi li ha prodotti. C’è una classe che continua a produrre simboli, rappresentazioni del mondo, opinioni, narrazioni e una classe che le consuma, senza avere accesso ai mezzi di produzione. Sembra un discorso vecchissimo, nell’epoca della creatività diffusa, dei media digitali che trasformano i consumatori in produsers, ecc. ecc..
Gli studi sui media in Italia si concentrano ancora moltissimo sull’analisi dei testi dei media, sul mitico “messaggio”, o al massimo sulla sua “ricezione” e solo di recente è tornata l’attenzione verso la “produzione” dei media, il tentativo di capire quali regole, quali routine produttive, quali culture stanno alla base dell’infrastruttura della produzione dei media e quanto questa infrastruttura produttiva, invisibile ai più, ha effetto su COSA si produce e COME lo si fa … leggi tutto