Io penalista difendo Cartabia: chi crede nel diritto non può allearsi coi forcaioli (ildubbio.news)

di Cataldo Intrieri

Giudicare il ddl penale per la sola norma 
sull’improcedibilità? 

È il solito vizio italiano: si guarda con snobistico disgusto ai passi avanti riformisti.

Una volta approvata la riforma Cartabia, sia per quanto riguarda la parte immediatamente esecutiva (tra cui le cause di improcedibilità dell’azione penale per decorso dei termini temporali ex articolo 344 bis cpp), sia la parte ben più nutrita oggetto di delega al governo, restano strascichi polemici e divisioni, anche nel campo dell’avvocatura. Il problema fondamentale per tutti, giustizialisti e garantistimagistrati e avvocatistudiosi e orecchianti del diritto, è uno solo: la famigerata improcedibilità che uno dei tanti articoli “bis” introdurrà nel sistema.

Su di essa si è formata e ormai radicata una insospettata e inimmaginabile santa alleanza che vede riuniti inveterati, imbarazzanti forcaioli e raffinati garantisti di antico conio. Come nelle antiche crociate dove sotto i vessilli della fede si raggruppavano santi e peccatori, mistici e canaglia assortita.

Così accade ad esempio che procedano affiancati Giuseppe Conte e Massimo Giannini, direttore della Stampa, che ci informa essere laureato in Giurisprudenza con tesi in Diritto costituzionale (in effetti non lo avremmo mai sospettato).

Giannini nonostante le feroci critiche a colui che sprezzantemente, più volte ha definito “l’avvocato di Volturara Appula”, in uno dei suoi ultimi editoriali e malgrado la laurea in Legge, sulla riforma Cartabia ne condivide, oltre che le critiche, pure gli strafalcioni, lamentando che con le nuove regole rischierebbero l’estinzione i processi ai colpevoli della morte di Stefano Cucchi e della tragedia del ponte Morandi, laddove la nuova normativa, peraltro sospesa sino al 2024, comunque si applica ai reati consumati dopo il 30 gennaio 2020, data di entrata in vigore della “Spazzacorrotti”, creazione di un altro insigne giurista, Alfonso Bonafede, evidentemente apprezzato ben oltre le critiche ufficialmente mossegli.

Infatti dopo la sua riforma la magistratura è rimasta in religioso silenzio, senza distinzione tra destra e sinistra, progressisti e conservatori, laddove di fronte al lavori di Marta Cartabia, Giorgio Lattanzi e altri insigni giuristi è insorta unanime.

Con lei, duole dirlo, si è mossa una parte non irrilevante dell’accademia e della stessa avvocatura che, pur sollecitata da ben altre prospettive, ha finito per ritenere iniqua una legge che secondo la critica giustizialista avrebbe provocato guasti irreparabili per il solo fatto di impedire la vergogna del “fine processo mai”.

Ovviamente nel caso di insigni giuristi come Ennio Amodio, Paolo Ferrua, Adolfo Scalfati e Giorgio Spangher le motivazioni alle critiche sono ben più raffinate delle rozze allarmistiche critiche della solita compagnia dell’anti-mafia militante in servizio effettivo, ma il paradosso di ritrovarsi in una tale imbarazzante compagnia a mio parere richiederebbe una qualche ulteriore riflessione, oltre quella strettamente scientifica … leggi tutto

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