Dott.ssa Agnese Collino,
Lei è autrice del libro La malattia da 10 centesimi. Storia della polio e di come ha cambiato la nostra società edito da Codice: cosa ha significato, per la storia della medicina e della nostra società in genere, la lotta alla poliomielite?
È difficile rispondere brevemente a questa domanda. La storia della lotta alla poliomielite non è semplicemente la storia di come si è riusciti a domare “il terrore delle estati” tanto da portarci a un passo dall’eradicazione della malattia in tutto il mondo (sarebbe la seconda malattia dopo il vaiolo a scomparire del tutto): è anche la storia di come un’impresa medico-scientifica come questa possa contribuire al profondo cambiamento di tanti aspetti della nostra società, in un momento storico (quello tra gli anni Trenta e Cinquanta) già di grandi mutamenti.
La storia della lotta alla poliomielite è innanzitutto la storia del primo disabile arrivato alla Casa Bianca: Franklin Delano Roosevelt, pesantemente danneggiato nell’uso delle gambe a causa della poliomielite contratta a trentanove anni, nel 1921, in un’epoca in cui gli invalidi non solo non potevano aspirare a cariche di prestigio, ma venivano spesso relegati ai margini della società, ricoverati in istituti o nascosti in casa.
Nonostante tutto, e all’indomani di un periodo delicato come la crisi del Ventinove, Roosevelt venne eletto presidente degli Stati Uniti: la sua sarebbe stata la presidenza più lunga, riconfermata per ben 4 mandati (fino alla sua morte, nel 1945), e una delle più amate.
Roosevelt non riuscì solo a ispirare un cambio di prospettiva verso la disabilità, e a spingere i disabili a reclamare il diritto alla riabilitazione fisica e sociale (dando vita a movimenti che sarebbero culminati negli anni Sessanta, e che anche in Italia portarono alle attuali normative in materia di invalidità), ma si spese in prima persona per rendere la poliomielite la malattia principale da combattere, il “nemico numero 1”.
Diede vita a una serie di associazioni per incentivare la raccolta fondi e la sensibilizzazione verso la polio: queste realtà, prima tra tutte la March of Dimes (letteralmente la “Marcia delle monetine”, un’iniziativa di raccolta fondi che chiedeva a ciascuno di donare i propri dimes, le monete da 10 centesimi, contro la malattia), rivoluzionarono il mondo della filantropia, che passò dall’essere prerogativa assoluta dei pochi ricchi a opportunità e dovere sociale per tutti, anche i meno abbienti e più ai margini della società.
Questo nuovo standard nella beneficienza segnò cambiamenti cruciali anche nel modo in cui veniva condotta la ricerca, fatta di progetti di respiro sempre più ampio, basata su larghe collaborazioni piuttosto che sul singolo scienziato e resa possibile grazie a finanziamenti che non erano mai stati così ingenti. Finanziamenti che non rappresentavano più donazioni a fondo perduto, ma investimenti di cui i ricercatori erano infine chiamati a rispondere, con le charities e con il pubblico.
Fu così che la polio, in America come in Europa, conquistò regolarmente le prime pagine dei giornali a metà del Novecento, vuoi per la cronaca che ne annunciava la comparsa annuale, l’estensione, le misure di contenimento (come la chiusura di scuole, campi sportivi, piscine, cinema e altri luoghi di aggregazione) e ogni nuovo tassello nella conoscenza del virus, vuoi per raccontare del personaggio famoso colpito dalla malattia (come Anna Maria Mussolini, figlia del Duce), ma soprattutto per citare ogni piccola notizia riguardante la corsa al vaccino in atto negli Stati Uniti, che tenne con il fiato sospeso l’opinione pubblica in tutto il mondo.
Mai prima di allora un ambito di ricerca scientifica o un trial medico era stato soggetto a tanta attenzione mediatica, a tanta pressione e urgenza dalla società civile internazionale. Mai medici e ricercatori erano diventati personaggi popolari conosciuti e amati al pari delle star del cinema, né i cittadini erano mai stati esposti a tante nozioni così tecniche in ambito di salute pubblica da parte della stampa … leggi tutto