di Mario Lavia
Che senso ha fare le primarie se poi chi sostiene un candidato di un partito piccolo della coalizione viene epurato dalle liste del partito grande della stessa coalizione?
Se le cose stanno così, peraltro, Calenda ha fatto bene a non misurarsi con Gualtieri in un voto interno al centrosinistra
Hai appoggiato alle primarie una candidatura diversa da quella indicata dal Partito? E il Partito non ti ricandida. Succede a Bologna, città che va al voto il 3 e 4 ottobre senza particolari patemi d’animo – vincerà Matteo Lepore forse già al primo turno – e dove si tennero primarie di un certo interesse perché a contendere la vittoria al candidato del Pd era la renziana Isabella Conti, sindaca di San Lazzaro di Savena.
Lepore vinse e Conti promise sostegno al vincitore. Tutto molto corretto e lineare. Bene. Al momento di comporre la lista del Pd, però, è venuto fuori il “no” a due ex assessori dem, Alberto Aitini e Virginia Gieri, che alle primarie avevano sostenuto Conti. Non sono stati ricandidati. Il motivo non può che essere il “tradimento” a favore della sindaca proposta da Matteo Renzi.
A quanto pare (Il manifesto, 26 agosto) c’è stato il veto proprio del candidato sindaco Lepore. Adesso si sta cercando di calmare le acque perché è evidente che si è cucinata una frittata indigesta. E anche se parlare di purghe staliniane è fuori misura, non è certo una bella storia.
La vicenda rimanda alla questione della fattibilità delle primarie. La domanda è la seguente: ha senso fare le primarie in assenza di una vera coalizione, dunque accettando serenamente le conseguenze della votazione? Da quel che succede a Bologna si direbbe di no. Infatti se il militante o dirigente del Pd che sostenesse un nome espresso da un altro partito (visto come un nemico e non come parte della coalizione) venisse poi epurato, è chiaro che d’ora in poi qualunque esponente dem si guarderà bene dall’incorrere nell’“eresia” come è capitato ad Aitini e Gieri: perché se sei fuori linea sarai colpito.
Alla luce dei fatti bolognesi, viene dunque da pensare che a Roma Carlo Calenda abbia fatto bene a non partecipare alle primarie. Perché se questo è il clima, il segnale che viene da Bologna è che un iscritto e soprattutto un dirigente del Pd “deve” votare per il candidato del Partito. Altrimenti rischia.
In altri termini, se Bologna “facesse giurisprudenza”, sarebbe un colpo forse mortale alle primarie, dato che, se saranno così irrigimentate, vincerà sempre il candidato ufficiale del partito più forte, cioè il Pd … leggi tutto