Foibe: la macchina dell’oblio. Strumentalizzazioni politiche del Giorno del Ricordo (valigiablu.it)

di Eric Gobetti e Carlo Greppi

10 febbraio 2022: il presidente della Repubblica 
italiana, Sergio Mattarella, interviene in una 
cerimonia al villaggio di Dane, 

a pochi chilometri dall’attuale confine tra Italia e Slovenia, rifiutando il consolidato protocollo delle orazioni alla foiba di Basovizza. In questa occasione Mattarella ricorda che l’occupazione nazifascista della Jugoslavia, iniziata il 6 aprile 1941, ha provocato un milione di morti, e mostra alle autorità slovene e ai giornalisti internazionali presenti la fotografia di una fucilazione.

“Contrariamente a quanto spesso si afferma”, argomenta il presidente italiano, “quella che vedete è la fucilazione di cinque partigiani sloveni per mano di soldati italiani, avvenuta qui, in questo villaggio, il 31 luglio del 1942”. In un silenzio irreale, l’interprete sloveno legge i nomi dei caduti: “Franc Žnidaršič, Janez Krajc, Franc Škerbec, Feliks Žnidaršič, Edvard Škerbec”.

Segue un lungo e commosso applauso, poi Mattarella riprende la parola: “Siamo qui oggi per fare finalmente i conti – a livello storico, istituzionale, politico e culturale – con il passato del nostro paese. Un paese che, prima ancora dell’avvento del fascismo, è stato guidato da una deprecabile brama coloniale e imperiale, che nel ventennio ha trovato il suo culmine più atroce”, aggiunge il presidente prima di inginocchiarsi davanti alle autorità slovene presenti, in evidente omaggio al famoso gesto di Willy Brandt a Varsavia, nel dicembre del 1970.

“I crimini di guerra dell’Italia fascista vanno condannati senza tentennamenti, e ci aiutano a comprendere quella successiva pagina dolorosa della nostra storia, quella delle foibe e dell’esodo istriano, fiumano e dalmata. A questi eventi tragici è stato dedicato il Giorno del Ricordo il quale, tuttavia, senza contestualizzazione storica, rischia di far passare gli italiani, e i fascisti, per vittime di una violenza ‘slava’ improvvisa, indiscriminata, atavica.

E invece la storia ci aiuta a capire come ogni manifestazione di nazionalismo aggressivo non porti che morte e distruzione, che poi – inevitabilmente – ti si ritorce contro. E non mi riferisco solo all’aggressione del 6 aprile 1941 e all’occupazione che è seguita, ma anche all’italianizzazione forzata di questi territori di confine, che ha prodotto indicibili sofferenze per due decenni”, termina il presidente Mattarella, tra gli applausi degli astanti.

Controstoria

Naturalmente queste parole Sergio Mattarella non le ha finora mai pronunciate. Né, a oggi, lo ha fatto alcun alto esponente delle nostre istituzioni. Eppure, dopo la fine della guerra fredda e della logica dei blocchi contrapposti, si era tentata una via diversa per affrontare queste tragedie storiche.

Una Commissione mista storico-culturale italo-slovena (1993-2001) aveva lavorato per anni, producendo un documento che cercava di fornire un racconto condiviso dai due paesi sull’epoca di violenza che ha contraddistinto quest’area dalla fine dell’Ottocento alla metà del Novecento. In questo testo si può leggere, ad esempio, che durante l’occupazione italiana centomila jugoslavi subirono “l’internamento nei numerosi campi istituiti in Italia (fra i quali vanno ricordati quelli di Arbe, Gonars e Renicci)”.

Solo nella Slovenia annessa, la cosiddetta Provincia di Lubiana, “migliaia furono i morti, fra caduti in combattimento, condannati a morte, ostaggi fucilati e civili uccisi … leggi tutto

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