di Luigi Zoja
Desiderio
Esistono i desideri umani ed esiste la realtà. L’impossibilità di farli coincidere è forse il più antico tema comune fra le letterature, che offrono un sollievo metafisico a quella permanente impossibilità.
Spesso, esaudire i desideri è così arduo da parere addirittura indesiderabile. La modernità, con la laicizzazione e l’enorme crescita delle conoscenze, aveva offerto però qualche risposta. Freud aveva detto molto chiaramente che la civiltà comporta sempre una repressione degli istinti: tra il principio di piacere e quello di realtà bisogna trovare un equilibrio.
Nel secolo XIX l’istinto sessuale, in particolare quello femminile, era stato troppo represso, producendo isteria e nevrosi. Il progresso portato da Freud, più che in una soluzione consisteva nella consapevolezza. Dopo di lui, niente è più stato come prima. Durante tutto il secolo XX, quantità e tipo di attività sessuali non hanno fatto che liberarsi e crescere. Col Secolo XXI, una nuova, poco attesa svolta. I giovani invertono la marcia e rinviano i primi rapporti sessuali. Hanno difficoltà a sapere cosa desiderano. Sanno che l’omosessualità non è più proibita: ma prendono tempo per capire se sono eterosessuali, omosessuali, bisessuali, asessuali.
Deviazione psichica individuale e collettiva
Il mondo della produzione offre un numero di oggetti sempre crescente, a costi sempre minori. Di frequente, il nuovo problema non è più potersi permettere un acquisto, ma sapere cosa si vuole comprare. Il desiderio – la cosa più immediata, che si riteneva da sempre conosciuta – si offusca e diviene sconosciuta. La mente deve valutare opzioni sempre crescenti in tempi sempre minori. La crescita delle possibilità scivola nell’insicurezza, e questa nella paralisi. Un problema psicologico sempre più generale. Ma nelle semplificazioni della mentalità corrente e dei mezzi di comunicazione (stampa, televisione o internet) un problema psicologico appartiene per definizione a un individuo, non a tutti; è eccezionale, non generale.
Le risposte alle “nuove paralisi” sono due. L’approfondimento, che è sempre esistito. Oppure il panico, rivestito di negazione: che, nello stato odierno di fragilità collettiva, dilaga. Ma negare le evidenze non è solo anti-funzionale: una società in cui troppi soggetti rifiutano la realtà è una società in cui questa minoranza danneggia non solo la maggioranza ma la sopravvivenza della coesione sociale. Un processo degenerativo rinforzato dalla continua velocizzazione. Infatti, per includere la dimensione morale nelle dinamiche mentali ci vuole tempo: le chat e i social, invece, abituano a risposte sempre più istantanee, rendendo sempre più arduo valutare a fondo se sono etiche.
Certo, anche la negazione è sempre esistita. Freud l’aveva discussa (il termine che usa è Verneinung): ma di nuovo quale eccezione, patologica e individuale: una scissione parziale della mente fragile, che non riesce a integrare nella consapevolezza quelle realtà che le fanno troppa paura.
In seguito, Jung aveva studiato l’importanza della psiche collettiva e delle sue patologie. Non troppo diversamente dall’individuo, durante un impoverimento economico o culturale (per esempio nella Germania della Grande Depressione che portò al potere Hitler) la massa si fa trasportare da veri e propri stati psicotici, durante i quali crede ad affermazioni che ognuno – seduto individualmente al proprio tavolino, in condizioni di ordinaria ragionevolezza – riconoscerebbe subito come false.
In stati simili, una parte rilevante della società agisce contro il proprio interesse: non nega solo fatti specifici, ma i paradigmi conoscitivi su cui ogni discorso si fonda … leggi tutto
(Alfred Kenneally)