Lo Stato e le crepe più larghe (corriere.it)

di Sabino Cassese

Immersi nelle urgenze della gestione quotidiana, 

gli amministratori, i politici e i burocrati operano «a sentimento», prescindendo dalla realtà da regolare

Quale è lo stato di salute delle istituzioni? La pandemia vi ha lasciato ferite, e queste sono sanabili? Quale futuro esse promettono? L’Italia ha dimostrato quello che da tempo i migliori studiosi di scienze organizzative rilevano: sappiamo fronteggiare eventi straordinari, molto meno l’ordinario.

Le istituzioni hanno retto, nonostante che una buona parte di esse si sia fermata per la pandemia, nonostante i livelli retributivi bassi, nonostante i tanti assunti senza concorso per pressioni sindacali o fame di posti di politici di passaggio (alcuni si sono persino vantati di aver immesso in ruolo decine di migliaia di avventizi), nonostante che lo Stato debba fare sempre più ricorso a organismi satelliti per colmare le proprie debolezze, nonostante che nel settore pubblico vi sia miseria senza nobiltà.

Nell’edificio pubblico, però, si vedono crepe che si allargano sempre di più. La prima riguarda la separazione dei poteri, progressivamente sostituita dalla condivisione o dalla confusione dei poteri. Il governo, da due anni ormai, legifera a furia di una media di quattro decreti legge al mese.

Il Parlamento, al quale spetta la funzione legislativa, legittima questa invasione, ma ci aggiunge del suo: i decreti legge, dopo la conversione in legge, «pesano» un terzo in più, talvolta raddoppiano la lunghezza, perché il ramo legislativo vi aggiunge nuove norme.

Q ueste nuove norme sono a volte estranee alla materia trattata e servono a soddisfare esigenze in larga misura localistica, o settoriale, o corporativa, o perché il governo si ricorda all’ultimo minuto di nuove esigenze. Se l’esecutivo esonda nel legislativo, quest’ultimo a sua volta ambisce a fare norme e ad applicarle, tante sono le leggi «autoesecutive», così dettagliate da non lasciare spazio alla discrezionalità delle amministrazioni.

L’ordine giudiziario, a sua volta, occupando gli uffici dell’apposito ministero con i suoi magistrati, gestisce l’organizzazione e il funzionamento dei servizi della giustizia, che spetterebbero all’esecutivo e, in nome di un autogoverno della magistratura che non sta scritto nella Costituzione, fa valere le proprie esigenze corporative nella legislazione in materia di giustizia, intervenendo anche nell’arena politica. Intanto, il Csm assiste senza batter ciglio al coma della giustizia.

Nessuno, dunque, fa il mestiere proprio. Si sente l’assenza di «regolatori del traffico» … leggi tutto

(Koushik Pal)

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