di Massimo Franco
Il voto ha fatto capire che i toni più estremi non piacciono ai cittadini,
i quali sembrano chiedere concretezza e serietà. Le coalizioni e la partita dei ballottaggi
L’onda populista si sta indebolendo e ritirando. Il vento del 2016 nelle grandi città, sublimato dal trionfo grillino alle Politiche del 2018, da ieri potrebbe diventare preistoria politica. Ma il crollo del Movimento 5 Stelle, ridotto a un terzo nei consensi, e quasi scomparso a Nord, era abbastanza atteso; quello del centrodestra a trazione sovranista no: non nelle dimensioni fatte registrare ieri e non a Milano.
Anche se sul voto amministrativo si proietta l’ombra ambigua e preoccupante di un’astensione massiccia, che rappresenta un’incognita sull’approdo finale di questo malessere.
L’insuccesso del tandem Matteo Salvini-Giorgia Meloni oscura parzialmente la «semina» del nuovo corso di Giuseppe Conte. Fa apparire una contesa controproducente la lotta per la leadership tra il capo della Lega e la presidente di Fratelli d’Italia. E rilancia in modo drammatico il problema della selezione della classe dirigente, del rapporto con l’Europa, e di un’identità che porta a un travaso di voti nella stessa area; ma impedisce di sfondare i confini del proprio schieramento.
La profezia pessimistica di Silvio Berlusconi su questo centrodestra ha avuto una conferma immediata e bruciante.
Permette al Pd di celebrare l’affermazione nelle grandi città d’Italia anche senza limitarsi a Milano, Bologna e Napoli, dove i candidati sono stati eletti senza bisogno dei ballottaggi. Il partito di Enrico Letta, che torna in Parlamento vincendo un seggio a Siena dove l’astensione è stata drammatica, può festeggiare. Può perfino insistere sull’asse con il M5S, benché adesso prenda atto che l’idea di considerare Conte «punto di riferimento della sinistra» appartiene a una fase superata.
L’ex premier grillino si aggrappa alla vittoria dell’alleato a Napoli e a Bologna, dove erano insieme, e dichiara che ci sono «segnali incoraggianti» … leggi tutto