di Mario Lavia
La scelta disperata di Conte di mettere il Movimento sotto il Partito democratica non solo toglie senso alla natura del suo partito,
ma al massimo servirà solo per portare un po’ d’acqua alla coalizione del Nuovo Ulivo. Il punto è che il M5s dell’avvocato non è né carne né pesce
Nella forza del (fu) Movimento Cinque Stelle sta anche il motivo della sua impossibilità di vivere un’altra vita. Dov’era la forza del grillismo? In una parola, nella sua radicale originalità figlia delle fantasie di un comico e di un ingegnere visionario.
Ma come può pensare di andare avanti un M5s che non abbia più quel crisma populisticamente anti sistema – per quanto discutibile e finanche esecrabile – che si acconci invece a vestire i panni del compagno di strada di un partito ormai grande il doppio di lui come il Partito democratico?
Insomma, a che serve Giuseppe Conte ridotto a capo di un partito-satellite, un cespuglio verdastro che galleggi in uno stagno di eventuale sottopotere, passando la borraccia come un gregario qualunque, solo un po’ più noto degli altri? Perché gira e rigira è questo che gli sta offrendo Enrico Letta, forse malgré soi, ma è così.
La prospettiva più realistica per il Movimento contiano, ridotto a una cifra, è dunque quello di una condizione di subalternità dettata dai numeri ma soprattutto dalla politica: se Conte apparirà come la copia di Letta in tono minore, allora meglio il vero Letta. Certo, un pizzico di caratterizzazione ci sarà, una volta sulla filosofia assistenzialistica (che però impatta negativamente su quella opposta di Mario Draghi), un’altra sul giustizialismo che residua dalle dottrine travagliesche: ma è poca roba.
Mettendosi sotto l’albero del Pd Conte compie una scelta disperata, anche se in un certo senso obbligata dalla sua mancanza d’inventiva politica, perché toglie senso alla natura del suo partito e al massimo potrà portare un po’ d’acqua alla coalizione del Nuovo Ulivo o come la si voglia chiamare, cioè al Pd più vedremo chi.
Scampato alla tragedia gialloverde e non in grado di reggere la sfida della pandemia, Conte sta tentando una terza reincarnazione, peggio del Vautrin di Balzac, all’ombra del Nazareno ma senza averne il pedigree storico-culturale alle spalle né tantomeno l’insediamento nel Paese (non è più possibile, dopo 10 anni di vita, giustificare i disastri elettorali alle amministrative con la mancanza di gente sul territorio: ma che partito è?), e inevitabilmente schiacciato dal professionismo politico che ancora alloggia, per derivazione comunista e/o democristiana, nelle stanze del Pd … leggi tutto