La lotta per la salvaguardia dello slavo-molisano, parlato dalla più piccola minoranza linguistica in Italia.
Lo scrittore dalmata Medo Pucić, italianizzato come Orsatto Pozza, si trovava in una sartoria di Napoli nell’inverno del 1852 quando sentì il proprietario del negozio parlare in serbocroato con alcuni clienti. Scoprì che venivano da Acquaviva Collecroce, un piccolo paese del Contado del Molise, nonché una delle poche colonie slave rimaste nell’Italia del sud.
Per saperne di più gli consigliarono di scrivere a Giovanni De Rubertis, un professore appassionato di lettere e storia locale che insegnava al ginnasio di Casacalenda. I due non si incontrarono mai ma nacque una corrispondenza epistolare che per la prima volta contribuì a diffondere notizie sulla più piccola minoranza linguistica in Italia. La pubblicazione delle lettere su L’osservatore dalmata risvegliò l’interesse dei curiosi e riavvicinò le due sponde dell’Adriatico.
“Non è forse una meraviglia che lontani per quattro secoli circa dalla madre patria, noi conserviamo ancora la nostra lingua, le nostre usanze?”, si chiede De Rubertis. Oltre ad Acquaviva (Kruč, nell’idioma locale), le uniche due località slavo-molisane ancora oggi alloglotte sono Montemitro (Mundimitar) e, in misura molto minore, San Felice del Molise (Filič), tutti comuni della provincia di Campobasso situati tra i fiumi Trigno e Biferno, a circa 30 chilometri dalla costa adriatica. La persone chiamano la propria lingua – e non dialetto, come tendono a precisare – na-našu o na-našo (a Montemitro), letteralmente “alla nostra maniera” o “a modo nostro”.
“Io ho imparato il na-našo prima dell’italiano. Quando sono andata all’asilo e ho visto che la maestra, non essendo del posto, non lo parlava, per me fu un trauma. Non volevo più andare perché non la capivo”, racconta Sara Pasciullo, dello sportello linguistico di Montemitro.
Lo slavo-molisano deriva dalle lingue slave meridionali, in particolare dal dialetto štokavo-ikavo, diffuso in parte della Croazia, Serbia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina. Fausto Bellucci, sindaco di San Felice, lo definisce “come il croato di cinque secoli fa”.
Per le somiglianze linguistiche e la provenienza geografica si tende infatti a considerare la minoranza “croato-molisana”, per via anche del rinnovato rapporto politico e culturale con la “madrepatria”, ma per molto tempo le persone hanno avuto solo una vaga idea di chi fossero e da dove venissero. Spesso si rispondeva semplicemente “su dol z’one bane mora”, “sono venuti dall’altra parte del mare”.
In passato gli italiani si riferivano a loro come “slavi” o “schiavoni” e fu solo da De Rubertis che si cominciò a valorizzare la doppia appartenenza culturale come italo-slavi … leggi tutto