La pandemia ha svelato la debolezza dell’organizzazione della medicina di base e la mancanza di investimenti.
Le case di comunità previste dal Pnrr saranno la soluzione? La legge sulle associazioni di medici già c’è, ma non è mai stata applicata.
Medicina di base: un sistema complesso
La medicina di base è in profonda crisi da molti anni e la pandemia ne ha svelato la debolezza dell’organizzazione e la mancanza di investimenti da troppo tempo. Leggi e progetti di riforma non sono mancati nell’ultimo ventennio, ma sono rimasti al palo, sia perché legiferati “a invarianza di spesa”, sia per l’ostilità dei sindacati medici, sia per la subalternità dello stato e delle regioni nel sottoscrivere l’accordo collettivo nazionale (Acn), che regola i rapporti tra il Servizio sanitario nazionale e i medici di medicina generale, prestatori di “lavoro autonomo, continuativo e coordinato”.
Adesso le risorse per il rilancio ci sono, perché il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina 2 miliardi di investimenti nelle case della comunità, in cui dovrebbero operare medici generalisti, pediatri, specialisti ambulatoriali, infermieri, riabilitatori e altri professionisti sanitari.
Sono stati definiti anche i modelli a “perno e raggi” (hub & spoke), con tanto di standard per mille abitanti, ma il progetto è appeso a un interrogativo: i medici di medicina generale saranno obbligati a operare in questi centri, lasciando i propri ambulatori su cui hanno investito, oppure le case di comunità rimarranno semideserte? Prossimità e comunità (case, ospedali, farmacie, infermieri di comunità) sono divenute il mantra di questi tempi, ma rischiano di essere pura poesia, se non si guarda realisticamente a ciò che è permesso fare, ai sensi dell’accordo collettivo.
Delle riforme possibili e del dover essere della medicina di base sono pieni i libri, i programmi politici e i convegni. Ma è la convenzione sottoscritta tra lo stato e i medici che fa fede, al di là delle leggi. E oggi la convenzione non prevede alcun obbligo.
Il settore dell’assistenza territoriale è molto esteso, complesso e disarticolato. Fa parte del Lea “Assistenza distrettuale” (Dpcm 12.1.2017), che assorbe ormai il 52 per cento della spesa del Ssn, e comprende sia strutture snelle – gli ambulatori dei medici convenzionati (per esempio, i medici di medicina generale) – sia strutture semi- e residenziali (per esempio, le Rsa).
L’assistenza territoriale, di cui qui si parla, include due aree – l’assistenza primaria e l’assistenza specialistica – in cui operano circa 94 mila medici a rapporto semi-libero professionale con il Ssn, organizzati secondo sette tipi di convenzioni, tre forme di remunerazione e differenti livelli retributivi … leggi tutto