“Vi racconto com’era lavorare con Federico Fellini” (ilfoglio.it)

di FRANCESCO PALMIERI

Una parte nel “Casanova”, una nella 
“Città delle donne”, 

Silvana Fusacchia sapeva far sorridere il regista. “Raccontava le scene come fosse una fiaba, non potevi sbagliare”. Intervista

Conserva i pattini che non ha usato più dentro l’armadio dei maglioni, ma di pattinare forse non ha smesso mai. Per Federico e per se stessa, giacché le cose che rendono felici sempre continuano nel sogno. Silvana Fusacchia recitò poco ma bene perché non voleva diventare attrice, soltanto accontentare il maestro che dalla sua presenza s’accendeva di allegria innocente.

Curioso di cogliere l’animo di quel volto preraffaellita e scanzonato, che apparteneva a una ventiduenne forse antica quanto lui che andava verso i sessanta, Fellini le diede una parte nel ‘Casanova’ poi la consegnò al ruolo dell’enigmatica Gabriella, che sui pattini compie per “fioretto” 300 giri al giorno nel concitato albergo di ‘La città delle donne’.

Silvana, come conobbe Fellini?

Frequentavo Antonello Geleng, il figlio del pittore Rinaldo che collaborava con Fellini. Giocavamo a farci ritratti e scambiarceli. Un giorno Antonello mi disse: ‘Federico ha visto la tua foto e vorrebbe conoscerti’. Quando andai a Cinecittà per incontrarlo c’era un sacco di gente in attesa per i provini, il tempo non passava e m’annoiavo, sicché cominciai a chiacchierare con qualcuno. All’epoca stavo imparando la lettura della mano, non da chiromante ma da chirologa, ossia per tratteggiare la personalità, perciò mi misi a esaminare un po’ chi me lo chiedeva finché mi chiamò Liliana Betti, l’assistente di Fellini. Lui disse subito: ‘So che hai letto la mano a tutto il teatro, fallo anche a me’.

Quando accadde?

Primavera del ’74, non avevo compiuto 23 anni.

Gliela lesse?

Gli spiegai che col mio metodo dovevo guardare entrambi i palmi, lui me li aprì sul tavolo e mentre dicevo cosa vedevo, strinse forte le mie mani e mi guardò fisso negli occhi. Arrossii fino alle orecchie. Federico scoppiò a ridere e chiese di parlargli dei miei interessi, dei miei disegni. Fu così tutte le volte che lo rivedevo: gioioso, divertito, e il suo divertimento rallegrava anche me.

Ero un tipo spontaneo, facevo tante gaffe, per questo mi portava a qualche cena sperando che me ne scappassero per ridere un po’ … leggi tutto

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