L'uragano a Catania: tra cambiamento climatico e consumo di suolo
Piogge torrenziali, raffiche di vento oltre i 100 chilometri orari, terreni in buona parte ormai impermeabilizzati e, pertanto, incapaci di assorbire l’acqua piovana che poi si riversa nei centri abitati. Dall’inizio della settimana la Sicilia orientale e, in particolare, Catania e la sua provincia, sono letteralmente sotto l’occhio del ciclone.
Tre persone sono morte, ingenti i danni a strade, negozi e abitazioni provocati dal turbine d’acqua e dagli allagamenti. Scuole e attività commerciali non essenziali chiuse fino a oggi. Scordia, in provincia di Catania, il centro più colpito da piogge e alluvioni. La Regione Sicilia ha deliberato lo stato d’emergenza. Anche l’Unione Europea – ha scritto la Commissione Europea in un tweet – “è pronta a fornire assistenza”.
Come spesso accade con catastrofi come queste ci si divide tra chi cerca le cause in anni di incuria del territorio – secondo l’ultimo rapporto del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, la Sicilia ha consumato 400 ettari di suolo tra 2019 e il 2020, di cui 100 nell’hinterland catanese; nella zona di Gravina di Catania il 50% dei terreni è incapace di assorbire l’acqua – e chi sottolinea l’imprevedibilità di fenomeni naturali così estremi, a voler negare l’impronta dell’uomo dietro quanto ormai accade con sempre maggiore frequenza e intensità.
Ma le due cose vanno insieme. Il cambiamento climatico è un moltiplicatore degli eventi estremi e mette a nudo le criticità dei territori, impreparati a gestire situazioni che di imprevedibile hanno sempre meno (sotto i riflettori, in questo caso, con rimpalli tra diversi livelli istituzionali, i lavori – iniziati nel 1985 e mai terminati – del cosiddetto “Canale di Gronda”, progettato per intercettare e frenare a monte le acque piovane dei paesi nati nell’hinterland catanese, ed evitare che Catania venisse inondata).
Che è successo, dunque, in Sicilia? L’area orientale dell’isola è stata raggiunta dai cosiddetti medicane, crasi di Mediterranean Hurricane, ha spiegato al Corriere della Sera Enrico Scoccimarro, esperto di eventi estremi e scenari climatici alla Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC). I medicane assomigliano ai cicloni tropicali anche se sono di dimensioni minori e con un diametro di 300 chilometri, «contengono una quantità d’acqua associata molto elevata che possono scaricare in poco tempo», si sviluppano tra la tarda estate e l’inizio dell’autunno, «partono dalla parte bassa del Mediterraneo, presso le coste africane, dove la temperatura del mare arriva fino a 26 gradi, e colpiscono soprattutto Grecia, Sicilia e Calabria.
Ma possono investire anche la Sardegna e il Salento in Puglia». I venti possono superare i 33 metri al secondo (119 chilometri l’ora), come gli uragani di categoria 1, prosegue Scoccimarro, ma a differenza di questi ultimi, «si esauriscono in pochi giorni, soprattutto perché quando colpiscono la terraferma non hanno più l’energia del mare caldo a sostenerli.
Però possono stazionare alcuni giorni sul mare e scaricare molta pioggia sulle coste, come sembra sia il caso di questo ultimo fenomeno» … leggi tutto