Dalla difesa del territorio alla COP26: il messaggio delle delegate indigene a Glasgow (valigiablu.it)

di Susanna De Guio

“Almeno un quarto della superficie terrestre 
mondiale è tradizionalmente posseduto, 

gestito, utilizzato e occupato da popolazioni indigene” si legge nel rapporto del 2019 dell’Ipbes (la piattaforma intergovernativa scientifico-politica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici), uno degli istituti internazionali creati nell’ultimo ventennio per far fronte alla crisi climatica globale.

Non solo l’Ipbes misura la presenza indigena sul pianeta, ma sottolinea che “in generale nei territori di insediamento dei popoli indigeni la natura tende a declinare meno rapidamente” e nonostante questo, le aree che gestiscono “si trovano ad affrontare una crescente estrazione di risorse, la produzione di materie prime, la nascita di miniere e di infrastrutture per il trasporto e l’energia, con varie conseguenze per i mezzi di sostentamento e salute locali.”

A chiusura del G20 Interfaith Forum, il presidente del Consiglio Mario Draghi aveva ricordato che i paesi partecipanti al summit sono responsabili “di circa quattro quinti delle emissioni globali” evidenziando che gli effetti dei cambiamenti climatici si riversano però in modo particolare “sugli Stati più poveri [che] hanno beneficiato meno di altri del nostro modello di sviluppo, ma ne sono le principali vittime”.

La COP26 di Glasgow, nel Regno Unito, è sotto i riflettori mondiali come un negoziato cruciale perché gli oltre 190 capi di Stato partecipanti dovranno spingersi ben oltre i limiti previsti dall’accordo di Parigi per contenere l’aumento della temperatura del pianeta a 1,5°C.

Eppure, tra i numerosi attori politici convocati ad affrontare e mitigare le drammatiche conseguenze della crisi climatica a cui andiamo incontro non ci sono le popolazioni indigene, né le comunità locali che custodiscono i territori più colpiti da incendi, inondazioni, processi di desertificazione, fenomeni direttamente correlati all’innalzarsi della temperatura terrestre.

Futuros Indigenas va a Glasgow

“Se le Conferenze delle Parti fossero efficaci, non sarebbe già più necessario farle”, esclama con ironia uno dei partecipanti alla riunione della rete Futuros Indigenas in uno degli incontri preparatori in vista della COP26. “Tutto nasce da un laboratorio di comunicazione a cui hanno assistito diverse comunità”, spiega Rosa Marina Flores Cruz, ricercatrice binnizá e attivista per la difesa dell’Istmo de Tehuantepec, in Messico, che si sta preparando per andare nel Regno Unito.

“L’invito era rivolto a movimenti indigeni e gruppi di difesa del territorio, il collettivo Hackeo Cultural convocava a discutere le narrazioni sul cambio climatico e la crisi ambientale e offriva un interscambio con giornalisti, illustratori, professionisti della comunicazione” … leggi tutto

(Junior REIS)

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