Storie ordinarie (ma drammatiche) di abbandono scolastico (ilfoglio.it)

di MARCO LODOLI

Com’è triste quel banco lasciato vuoto dopo tanti 
sacrifici e sofferenze. 

Chi si prenderà cura di Veronica?

Ogni anno qualche studente scompare nel nulla: è il fenomeno dell’abbandono scolastico, formula gelida sotto la quale inserire percentuali, tanti a nord e tanti a sud, e di questa età o di quest’altra, spariti dalle scuole tecniche o dai professionali o anche dai licei.

Numeri asciutti dentro ai quali ci sono tante storie dolorose, silenzi e paure e visi che non rivedremo più, inghiottiti dalla città, dalla ferocia o dalla rassegnazione, dal vuoto o dal pericolo.

Ogni mattina sono entrato in classe, un saluto e ho posato i libri sulla cattedra, e avevo quasi paura di portare lo sguardo verso quel banco, terza fila nell’aula grande. Fingevo di controllare gli appunti, mentre il chiasso del cambio d’ora lentamente si placava, fingevo di verificare se la lavagna elettronica era accesa, se c’era il collegamento, e ritardavo con ogni scusa l’attimo in cui avrei inquadrato negli occhi quel banco. Ma poi, inevitabilmente, dovevo farlo, con la speranza mista al timore, e il banco era vuoto.

Eppure i primi giorni, direi le prime due settimane Veronica era presente, e mi sembrava anche contenta di essere tornata a scuola, come se tra queste mura avesse trovato finalmente pace e protezione. Io le sorridevo, le dicevo:

Tutto bene?”, e anche lei mi sorrideva, ma con quel sorriso traversato da non so quale amarezza, quasi una smorfia malinconica. E’ arrivata lo scorso anno, Veronica, in quarta, e alle spalle aveva una storia che avrebbe potuto riempire dieci libri angosciosi: una famiglia complicata, un fratello morto a vent’anni dopo un lungo periodo passato in comunità di recupero, e lei su e giù tra Bologna e Roma sui treni, sbandata, persa, tragicamente randagia.

“Ho vissuto più di un anno alla stazione Termini”, mi raccontava, e io quasi non potevo crederci, perché non aveva smarrito neppure un soffio della sua innocenza.

Aveva vagato tra i binari, dormito nei vagoni abbandonati, sui cartoni sotto le tettoie, aveva chiesto l’elemosina, aveva conosciuto lo sprofondo dell’esistenza già a sedici anni, eppure sapeva ancora sorridere, sapeva raccontare quei lunghi mesi come un’esperienza intensa, che le aveva fatto capire tante cose e che non l’aveva sporcata … leggi tutto

(Nguyen Khanh Ly)

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