di Roberta D’Angelo
Questo Capodanno sono uscita, uscita dalle mura della mia vita, che considero troppo angusta con la pesantezza di un figlio disabile.
Sono uscita e ho incontrato altre vite, più dire della mia, altri occhi, qualcuno distrutto, qualcun altro carico di speranza. Quasi tutti colmi di gratitudine. Credevo di aver scelto un Capodanno alternativo: ho aderito all’offerta della mia parrocchia e mi sono iscritta con i volontari di Sant’Egidio insieme a mio marito per portare il pasto ai senza dimora di Roma.
Sistemati figli e nipoti, finalmente liberi, da tempo volevamo metterci a disposizione. Ebbene, non avevo intenzione di raccontarlo, specie perché in molti mi dicono: “Ma come, una volta che non hai tuo figlio cerca di riposarti, te lo meriti”. Tantomeno volevo farlo per sentirmi dire “brava”. Visto però che il mio mestiere è raccontare, vorrei fare nomi e cognomi. Perché noi tutti abbiamo un nome che ci distingue e oggi mi sento moto concreta.
Siamo partiti da una delle parrocchie che hanno aderito all’iniziativa della Comunità di Trastevere, la Santissima Trinità di via Marchetti. Dovevamo essere in po’ meno di cento e chi voleva poteva fermarsi a cena, dopo il giro tra i poveri, per brindare insieme al nuovo anno. Ci ha accolto una sorprendente ma piacevole bolgia. Ragazzi, tanti ragazzi, per lo più allegri, qualcuno più serio. Più di 200, in coda per registrarsi e prendere direttive … leggi tutto