Non ricordo dove l’ho sentito – tanto che potrei essermelo inventato – ma a quanto pare Paolo Conte è il tipo che si chiede che ore sono in un quadro. A che ora sta accadendo quel Picasso? E quel Caravaggio?
Se volessimo chiederci in che momento della giornata accadono le canzoni di Paolo Conte, invece, concluderemmo che è quasi sempre notte. Ma non per questo definiremmo la sua musica notturna o particolarmente oscura: in ogni sua storia c’è sempre una luce, un piccolo occhio di bue che illumina un personaggio, un dialogo, un tic, un dettaglio.
Tuttavia un episodio oscuro – o quantomeno più difficile da inquadrare – nella discografia di Paolo Conte esiste. Parole d’amore scritte a macchina arriva nel 1990 e va a inserirsi tra Aguaplano e 900, diventando col senno di poi un classico a sua volta. Sulle prime però sembra un oggetto strano, per qualcuno anche un disco di molto inferiore agli altri per qualità e ispirazione.
Riascoltarlo trent’anni dopo significa provare a comprendere qualcosa in più di quel buio, forse, e dei fantasmi che lo abitano … leggi tutto