La malattia del maschio (doppiozero.com)

di Veronica Vituzzi

Negli ultimi due mesi ha avuto inizio su Facebook 
una campagna di sensibilizzazione 

caratterizzata dalla medesima potentissima valenza eversiva del movimento #metoo nato nel 2017: con l’hashtag #tuttacolpamia la pagina femminista Abbatto i Muri ha pubblicato – e pubblica tuttora – quotidianamente le testimonianze anonime di molestie di ogni genere a sfondo sessuale.

Lo scopo preciso è quello di far emergere quella collettiva voce inconscia che nella società spinge le donne a sentirsi colpevoli degli abusi subiti perché troppo arrendevoli, remissive, provocatorie.

I racconti postati definiscono situazioni ed esperienze di ogni tipo che, al di là del trauma esplicitamente riconosciuto dello stupro, individuano l’evento della molestia sessuale come un fatto intrinsecamente presente a vari livelli nella vita di ogni donna. La sopraffazione maschile sembra innervare come una fitta rete capillare la totale dimensione del vivere sociale, basando la propria dignità sul valore biologico assegnato a quello che di fatto è un concetto culturale di mascolinità.

È ben noto il pregiudizio secondo cui per sua costituzione ormonale e fisica il maschio sia fatto in un certo modo innato e immutabile, e così anche la donna; anzi questa stessa viene interpretata come sopraffattrice proprio perché naturalmente provocante, o responsabile in quanto non adeguatamente assertiva. Il pensiero “è tutta colpa mia” nasce da un atto mancato di difesa femminile dal desiderio unilaterale maschile inteso come indiscutibile e congenito.

Esso non può limitarsi né essere discusso: se si vuole evitarlo bisogna cercare di non accenderlo o di rendersi incapaci di opporvi resistenza. Anche ogni tentata reazione o denuncia è mal vista come un attacco all’ordine costituto.

Insomma, è un problema esclusivo della donna, perché gli uomini sono fatti così e non possono farci niente ed è inutile provare a lamentarsi. A rafforzare questa visione sullo sfondo appare il fronte compatto della famiglia e degli amici, spesso descritti come colpevolizzanti, indifferenti, convinti della sostanziale verità inerente l’istintività maschile.

Gli uomini presenti nelle storie di #tuttacolpamia sembrano in effetti indistinti, impenetrabili, agiti da forze sconosciute mentre perpetrano violenza fisica e psicologica: la mancanza, apparente o reale, di consapevolezza diviene il tratto peculiare di una forza distruttiva accettata come naturale. La cosa paradossale è che quella che di fatto è una forma diffusa di mascolinità tossica avvelena la stessa vita degli uomini.

In La Scuola Cattolica Edoardo Albinati parte dal terribile esempio di violenza maschile che fu il Delitto del Circeo – i cui responsabili furono compagni di scuola dello stesso scrittore – per rileggere la propria giovinezza secondo la chiave universale dell’educazione morale del maschio nella società. In questo senso la mascolinità è un morbo, un cancro irremovibile dell’anima che si deve mantenere vivo malgrado la paralisi esistenziale che ne deriva:

“Nascere maschi è una malattia incurabile. (…) Non si ha idea di quanto lontano un ragazzo possa spingersi pur di ottenere l’approvazione dei suoi compagni; la quantità di soprusi che può decidere di sopportare su di sé, o di infliggere ad altri, pur di guadagnarsi un riconoscimento.

Il gioco era stancante e ripetitivo: bisognava provare di essere uomini, cioè, maschi, e appena avevamo finito di dare la prova che lo eravamo, subito bisognava provarlo di nuovo, ricominciando ogni volta da zero, come se la perdita della mascolinità appena misurata fosse sempre possibile, sempre in agguato, e aver dimostrato già cento volte che essere uomini non servisse a nulla, poiché un solo errore, un solo fallimento avrebbe cancellato i risultati acquisiti, facendo perdere la posta intera” … leggi tutto

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