Uno su due per mille ce la fa / La storia dei Cinquestelle andrebbe studiata a scuola, nell’ora di educazione civica (linkiesta.it)

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Quale scrittore avrebbe saputo inventare un 
migliore apologo sulla doppia morale dei 
moralisti da bar, 

sull’inaffidabilità e la cattiva coscienza di chi cerca di farsi strada alimentando pregiudizi e luoghi comuni sulla politica e le istituzioni?

A prendersela con Giuseppe Conte e con il Movimento 5 stelle non c’è quasi più gusto. Figuriamoci se vale la pena di aspettare i risultati della consultazione online sul due per mille, che dovrebbero essere resi noti oggi a mezzogiorno. Basta il fatto che una simile proposta sia stata avanzata.

Quelli che cantavano «non siamo un partito, non siamo una casta, siamo cittadini punto e basta» stanno discutendo e votando la proposta di iscrivere il Movimento 5 stelle al registro dei partiti, così da poter accedere a quel poco che resta del finanziamento pubblico. Vale a dire, quel poco che resta dopo decenni di campagne populiste contro la «casta» e la «partitocrazia», su cui i cinquestelle sono stati fondati.

Dalla nascita del secondo governo Conte, nel settembre 2019, su queste pagine siamo stati tra i pochi, nel campo democratico e progressista, a sollevare qualche dubbio non solo sulla credibilità e la coerenza della svolta grillina, ma prima ancora sulla sua consistenza e affidabilità.

Ora che risultati elettorali impietosi e sondaggi sempre più tetri hanno reso quelle considerazioni persino banali, si stenta quasi a ricordarsi di quando i giornali parlavano di Conte come di una via di mezzo tra Winston Churchill e il conte di Cavour (per aiutare la vostra memoria, ricordo che nel 2020 è stato pubblicato sul serio un libro dal titolo «Governare l’Italia.

Da Cavour a De Gasperi a Conte oggi», opera di Vincenzo Scotti e Sergio Zoppi). La stragrande maggioranza degli osservatori profetizzava all’allora presidente del Consiglio e al suo partito un futuro più che radioso, fondato su una popolarità e una centralità politica apparentemente inscalfibili.

Chi allora leggeva Linkiesta sa che qui non abbiamo fatto nulla per nascondere il vivo stupore che simili analisi suscitavano in noi.

La ragione era semplice: la stessa per cui non avremmo scommesso su un politico americano che avesse solennemente promesso al paese di ricreare il clima di fiducia e ottimismo che lo animava all’indomani della guerra in Vietnam. E tanto meno, per fare un esempio forse storicamente più preciso, su un politico tedesco o giapponese che avesse giurato di infondere nei suoi concittadini lo stesso spirito che li animava alla fine della Seconda guerra mondiale.

Così non ci sembrava ragionevole spendere tanti paroloni attorno alle capacità e al luminoso futuro di un politico capace di dichiarare solennemente, l’8 settembre 2018, ricordando da presidente del Consiglio la tragica giornata di settantacinque anni prima, nientemeno che «l’ambizione di ricreare nei cittadini la stessa fiducia verso il futuro che allora animava i nostri genitori».

Può darsi, naturalmente, che avessimo torto noi allora, e che oggi abbiano torto i sondaggi e i tanti osservatori arrivati, alla buon’ora, alle nostre stesse conclusioni.

Può darsi che abbia invece ragione Conte, le cui argomentazioni meritano sempre di essere ascoltate, non foss’altro per l’eloquenza con cui sono formulate, ad esempio quando ieri ha spiegato alla tv del Corriere della sera come nei cinquestelle sia stato avviato «un nuovo corso che richiede del tempo per dipanarsi appieno», che di conseguenza «il senso di una comune immedesimazione in questo progetto politico non ancor si dispiega in tutte le componenti interne al movimento» e che comunque «in tutta la stragrande maggioranza del movimento c’è una grande predisposizione per correre insieme» … leggi tutto

(David Edelstein)

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